Una ricerca condotta
nelle scuole di Terrasini
di Martina Consiglio
Una più che interessante indagine linguistica, ricca di questionari e tavole riassuntive, che non poteva mancare dal nostro blog per gli evidenti nessi socio-culturali con la realtà terrasinese. Ci si riferisce alla tesi di laurea di Martina Consiglio, conseguita di recente presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Palermo.
Una più che interessante indagine linguistica, ricca di questionari e tavole riassuntive, che non poteva mancare dal nostro blog per gli evidenti nessi socio-culturali con la realtà terrasinese. Ci si riferisce alla tesi di laurea di Martina Consiglio, conseguita di recente presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Palermo.
I risultati della ricerca -per la cronaca- saranno illustrati e dibattuti presso la Scuola Media (Istituto comprensivo) alla presenza dell'Autrice e di Preside e docenti. L'incontro avrà luogo GIOVEDI 12 APRILE alle ore 17:00, col Patrocinio della Regione Sicilia, del Comune di Terrasini e dell'Associazione culturale "Così, per ... passione!".
(giuru)
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AVVERTENZA:
I Lettori noteranno alcune imperfezioni grafiche come, ad esempio,
gli apostrofi doppi o altro ancora. Non è stato sempre tecnicamente possibile
-almeno per noi- eliminarle e di questo ci scusiamo.
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INDICE
Introduzione
I. Obiettivi
II. L’ambito teorico
1. Dialetto e lingua
2. Stereotipo e pregiudizio
3. Pregiudizi linguistici
III. Aspetti legislativi
IV. La ricerca
1. I precedenti
2. Il contesto territoriale e sociale
3. Il campione
4. Il metodo e gli strumenti
I questionari
I testi
1. Analisi motivazionale
2. Spie linguistiche
Conclusioni
Bibliografia e
linkografia
Appendici
A. Risposte alla domanda singola in trascrizione fedele
B.
Questionari
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I. Obiettivi
Il punto di partenza di questa tesi è dato dalla curiosità di indagare i cambiamenti comportamentali e ideologici dei bambini e degli adolescenti siciliani all‟interno delle loro relazioni quotidiane con il dialetto.
Ho analizzato un campione di studenti del paese di Terrasini (PA), compresi entro la fascia d‟età 8-20 e ho svolto la ricerca concentrandomi sulle motivazioni profonde –per quanto sia stato possibile– di una propensione al dialetto o di un rifiuto per esso, le quali sicuramente si rivelano attraverso l‟esplicita dichiarazione da parte dei soggetti interessati, ma si rendono altrettanto manifeste osservando il contesto socio-culturale in cui essi stessi vivono.
È per questo che ho proposto agli studenti di tre gradi scolastici diversi, accanto ad una riflessione autovalutativa, un questionario in cui una parte delle domande è dedicata alla situazione familiare degli alunni dal punto di vista compositivo, culturale e linguistico, e una parte alla condizione extrafamiliare degli stessi, ovvero ai loro hobbies, alle relazioni con i compagni, alle preferenze personali.
L‟obiettivo? Entrare, attraverso l‟analisi delle risposte, all‟interno del loro mondo e cercare in questo modo di capire cosa ci sia in fondo alle loro risposte, cosa essi abbiano realmente voluto dire e, possibilmente, perché.
II. L’ambito teorico
1. Dialetto e lingua
Non è possibile iniziare a parlare di dialetto senza una premessa che analizzi il rapporto fra lingua ufficiale e dialetti, in particolare all‟interno del contesto italiano, il quale linguisticamente si distingue dagli altri paesi europei per una vicenda lingua-dialetto del tutto particolare.
L‟italiano è una lingua romanza, ovvero evolutasi dal latino. È opportuno parlare di “evoluzione” e non di “derivazione” –come purtroppo si sente spesso– perché tale processo non si manifesta come una catastrofe improvvisa, bensì come “una crisi linguistica lunga e interna, che non implica processi di semplificazione, ma lo sviluppo verso un tipo, un‟organizzazione sistematica nuova” (Rinaldi, 2008, 13). Il diretto antecedente dell‟italiano fu però un latino distinguibile sia per via diacronica sia per via diamesica dal latino classico. Il concetto di latino classico è difatti quello immobile della letteratura e del linguaggio giuridico amministrativo che riguarda in particolare il periodo aureo della latinità, tra la fine della Repubblica e il principato augusteo. Il latino che si evolve nell‟italiano e nelle altre lingue romanze, invece, è un latino che viene definito volgare o –con accezione più pertinente– parlato, colloquiale, popolare: è il latino parlato da tutte le classi sociali (non solo, quindi, dalle più umili e meno colte) nell‟epoca tarda dell‟impero romano, dal III secolo in poi.
Le conquiste di Roma si sono realizzate nell‟arco di circa cinque secoli, fra il III secolo a.C. e il II secolo d.C. e in questo lunghissimo arco di tempo il latino venne considerato la lingua dei dominatori, sovrapponendosi alle lingue locali come l‟osco, l‟umbro, l‟etrusco, le lingue celtiche e così via, le quali presero il nome di lingue di sostrato.
Fino a quando il vastissimo territorio dell‟Impero rimase integro, il latino continuò a rimanere un organismo abbastanza unitario, mantenuto tale dalla circolazione interna di merci e persone. Ma quando l‟assetto politico dell‟Impero e la sua struttura amministrativa si disgregarono (la data convenzionale della “caduta” dell‟Impero romano d‟Occidente è il 476 d.C.), la produzione e i commerci ristagnarono, l‟istruzione decadde, tutta la vita civile si impoverì, le comunità restarono isolate l‟una dall‟altra e allora anche i “latini volgari” (al plurale perché le lingue di sostrato produssero una differenziazione diareale dovuta alla loro influenza volontaria o involontaria sul latino) delle varie regioni presero a svilupparsi in direzioni divergenti. Proprio questi “latini volgari”, rimasti svincolati gli uni dagli altri e perciò spinti a evolversi indipendentemente, sono gli antenati dei diversi volgari neolatini o romanzi, ovvero degli odierni dialetti regionali d‟Italia.
In questo lento e lungo processo – per tutto il Medioevo, se non addirittura oltre, l‟unica lingua ufficiale e pubblica verrà considerata il latino classico – due fattori possono essere considerati dei veri e propri catalizzatori: il Cristianesimo –che, a partire già dal III secolo, introdusse nella lingua latina nuovi termini desunti dalla vita quotidiana e dal parlato, contenenti importanti evoluzioni dalla lingua letteraria (come ad esempio le risemantizzazioni di captivus e paganus) – e le invasioni barbariche , le quali, da un lato ampliarono il vocabolario del nascente italiano con termini desunti dalle loro attività e dai loro costumi (werra prevale su bellum, fortiam prende il posto di vim, termini completamente nuovi come sapone, feudo, albergo, ecc), dall‟altro modificano determinate caratteristiche strutturali del latino (introduzione dell‟articolo, abbandono dei verbi deponenti, mutamento del sistema comparativo, sviluppo moderno dei plurali ecc), segnando un importante passo avanti verso il nuovo assetto romanzo.
Le invasioni barbariche influirono moltissimo sulla lingua non solo da un punto di vista prettamente linguistico, ma anche da un punto di vista sociale. Esse furono considerate, infatti, la causa decisiva dell‟irreversibile “imbarbarimento” del latino, tralasciando spesso un elemento importante: le lingue barbariche agirono nei confronti di un sistema linguistico già fortemente indebolito. Di conseguenza il volgare venne a lungo concepito come una corruttela del latino causata dalla fusione con le lingue germaniche degli invasori, e la stessa definizione di „volgari‟ resterà a lungo nel vocabolario italiano per esprimere le contemporanee varietà linguistiche presenti nel territorio.
È possibile iniziare a parlare di dialetti solo tra il XVI secolo e il XVII, in quanto è a partire da questo secolo – tra le Prose della volgar lingua di Bembo (1525) e la prima edizione del Vocabolario della Crusca (1612) – che si afferma una lingua nazionale italiana, seppure limitata alla letteratura: solo ora, in una consapevole opposizione ad essa, esistono i dialetti
Ogni dialetto è dunque il legittimo erede del latino volgare e tutti sono su uno stesso livello di importanza, prestigio e antichità. Ma allora come si è creata la differenziazione di questi, a tal punto da poter affermare che “la varietà dialettale d‟Italia non ha paragone nel dominio romanzo, né negli altri spazi linguistici europei (slavo, germanico, ecc.)”1?
La risposta può essere affrontata sinteticamente attraverso tre punti:
1) Le grandi aree dialettali coincidono in modo abbastanza evidente con le aree di stanziamento delle etnie prelatine; dunque una prima spiegazione è quella, precedentemente anticipata, che nel processo di differenziazione sicuramente ha agito il sostrato linguistico.
2) Certamente sono stati importanti, inoltre, i confini naturali (il mare che isola la Sardegna, l‟Appennino che divide l‟Italia settentrionale da quella centrale, il massiccio della Sila che ostacola il passaggio via terra alla Calabria meridionale), quelli amministrativi, come nel caso delle diocesi, e quelli più prettamente politici.
3) Infine ha influito in maniera non trascurabile la diversa cronologia della latinizzazione, per cui il latino che entrava nei vari territori era un latino appartenente a fasi diverse della propria evoluzione interna.
Il punto di partenza di questa tesi è dato dalla curiosità di indagare i cambiamenti comportamentali e ideologici dei bambini e degli adolescenti siciliani all‟interno delle loro relazioni quotidiane con il dialetto.
Ho analizzato un campione di studenti del paese di Terrasini (PA), compresi entro la fascia d‟età 8-20 e ho svolto la ricerca concentrandomi sulle motivazioni profonde –per quanto sia stato possibile– di una propensione al dialetto o di un rifiuto per esso, le quali sicuramente si rivelano attraverso l‟esplicita dichiarazione da parte dei soggetti interessati, ma si rendono altrettanto manifeste osservando il contesto socio-culturale in cui essi stessi vivono.
È per questo che ho proposto agli studenti di tre gradi scolastici diversi, accanto ad una riflessione autovalutativa, un questionario in cui una parte delle domande è dedicata alla situazione familiare degli alunni dal punto di vista compositivo, culturale e linguistico, e una parte alla condizione extrafamiliare degli stessi, ovvero ai loro hobbies, alle relazioni con i compagni, alle preferenze personali.
L‟obiettivo? Entrare, attraverso l‟analisi delle risposte, all‟interno del loro mondo e cercare in questo modo di capire cosa ci sia in fondo alle loro risposte, cosa essi abbiano realmente voluto dire e, possibilmente, perché.
II. L’ambito teorico
1. Dialetto e lingua
Non è possibile iniziare a parlare di dialetto senza una premessa che analizzi il rapporto fra lingua ufficiale e dialetti, in particolare all‟interno del contesto italiano, il quale linguisticamente si distingue dagli altri paesi europei per una vicenda lingua-dialetto del tutto particolare.
L‟italiano è una lingua romanza, ovvero evolutasi dal latino. È opportuno parlare di “evoluzione” e non di “derivazione” –come purtroppo si sente spesso– perché tale processo non si manifesta come una catastrofe improvvisa, bensì come “una crisi linguistica lunga e interna, che non implica processi di semplificazione, ma lo sviluppo verso un tipo, un‟organizzazione sistematica nuova” (Rinaldi, 2008, 13). Il diretto antecedente dell‟italiano fu però un latino distinguibile sia per via diacronica sia per via diamesica dal latino classico. Il concetto di latino classico è difatti quello immobile della letteratura e del linguaggio giuridico amministrativo che riguarda in particolare il periodo aureo della latinità, tra la fine della Repubblica e il principato augusteo. Il latino che si evolve nell‟italiano e nelle altre lingue romanze, invece, è un latino che viene definito volgare o –con accezione più pertinente– parlato, colloquiale, popolare: è il latino parlato da tutte le classi sociali (non solo, quindi, dalle più umili e meno colte) nell‟epoca tarda dell‟impero romano, dal III secolo in poi.
Le conquiste di Roma si sono realizzate nell‟arco di circa cinque secoli, fra il III secolo a.C. e il II secolo d.C. e in questo lunghissimo arco di tempo il latino venne considerato la lingua dei dominatori, sovrapponendosi alle lingue locali come l‟osco, l‟umbro, l‟etrusco, le lingue celtiche e così via, le quali presero il nome di lingue di sostrato.
Fino a quando il vastissimo territorio dell‟Impero rimase integro, il latino continuò a rimanere un organismo abbastanza unitario, mantenuto tale dalla circolazione interna di merci e persone. Ma quando l‟assetto politico dell‟Impero e la sua struttura amministrativa si disgregarono (la data convenzionale della “caduta” dell‟Impero romano d‟Occidente è il 476 d.C.), la produzione e i commerci ristagnarono, l‟istruzione decadde, tutta la vita civile si impoverì, le comunità restarono isolate l‟una dall‟altra e allora anche i “latini volgari” (al plurale perché le lingue di sostrato produssero una differenziazione diareale dovuta alla loro influenza volontaria o involontaria sul latino) delle varie regioni presero a svilupparsi in direzioni divergenti. Proprio questi “latini volgari”, rimasti svincolati gli uni dagli altri e perciò spinti a evolversi indipendentemente, sono gli antenati dei diversi volgari neolatini o romanzi, ovvero degli odierni dialetti regionali d‟Italia.
In questo lento e lungo processo – per tutto il Medioevo, se non addirittura oltre, l‟unica lingua ufficiale e pubblica verrà considerata il latino classico – due fattori possono essere considerati dei veri e propri catalizzatori: il Cristianesimo –che, a partire già dal III secolo, introdusse nella lingua latina nuovi termini desunti dalla vita quotidiana e dal parlato, contenenti importanti evoluzioni dalla lingua letteraria (come ad esempio le risemantizzazioni di captivus e paganus) – e le invasioni barbariche , le quali, da un lato ampliarono il vocabolario del nascente italiano con termini desunti dalle loro attività e dai loro costumi (werra prevale su bellum, fortiam prende il posto di vim, termini completamente nuovi come sapone, feudo, albergo, ecc), dall‟altro modificano determinate caratteristiche strutturali del latino (introduzione dell‟articolo, abbandono dei verbi deponenti, mutamento del sistema comparativo, sviluppo moderno dei plurali ecc), segnando un importante passo avanti verso il nuovo assetto romanzo.
Le invasioni barbariche influirono moltissimo sulla lingua non solo da un punto di vista prettamente linguistico, ma anche da un punto di vista sociale. Esse furono considerate, infatti, la causa decisiva dell‟irreversibile “imbarbarimento” del latino, tralasciando spesso un elemento importante: le lingue barbariche agirono nei confronti di un sistema linguistico già fortemente indebolito. Di conseguenza il volgare venne a lungo concepito come una corruttela del latino causata dalla fusione con le lingue germaniche degli invasori, e la stessa definizione di „volgari‟ resterà a lungo nel vocabolario italiano per esprimere le contemporanee varietà linguistiche presenti nel territorio.
È possibile iniziare a parlare di dialetti solo tra il XVI secolo e il XVII, in quanto è a partire da questo secolo – tra le Prose della volgar lingua di Bembo (1525) e la prima edizione del Vocabolario della Crusca (1612) – che si afferma una lingua nazionale italiana, seppure limitata alla letteratura: solo ora, in una consapevole opposizione ad essa, esistono i dialetti
Ogni dialetto è dunque il legittimo erede del latino volgare e tutti sono su uno stesso livello di importanza, prestigio e antichità. Ma allora come si è creata la differenziazione di questi, a tal punto da poter affermare che “la varietà dialettale d‟Italia non ha paragone nel dominio romanzo, né negli altri spazi linguistici europei (slavo, germanico, ecc.)”1?
La risposta può essere affrontata sinteticamente attraverso tre punti:
1) Le grandi aree dialettali coincidono in modo abbastanza evidente con le aree di stanziamento delle etnie prelatine; dunque una prima spiegazione è quella, precedentemente anticipata, che nel processo di differenziazione sicuramente ha agito il sostrato linguistico.
2) Certamente sono stati importanti, inoltre, i confini naturali (il mare che isola la Sardegna, l‟Appennino che divide l‟Italia settentrionale da quella centrale, il massiccio della Sila che ostacola il passaggio via terra alla Calabria meridionale), quelli amministrativi, come nel caso delle diocesi, e quelli più prettamente politici.
3) Infine ha influito in maniera non trascurabile la diversa cronologia della latinizzazione, per cui il latino che entrava nei vari territori era un latino appartenente a fasi diverse della propria evoluzione interna.
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1. Renzi – Andreose, Manuale di linguistica e filologia romanza, 2003, pg 57.
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Fondamentale per la presa d‟identità del dialetto è stato, come abbiamo visto, l‟istituzionalizzazione della lingua italiana, avvenuta in seno alla cinquecentesca questione della lingua, un vero e proprio dibattito culturale che verteva verso l'individuazione del tipo di volgare più adatto alla scrittura e alla comunicazione colta. Si è già fatto a questo punto un primo passo avanti verso la considerazione del latino come unica lingua letteraria. In questo sicuramente ha avuto un ruolo di primo piano, diversi secoli prima, anche la scuola poetica siciliana, nata in seno alla Magna Curia di Federico II di Svevia tra il 1230 e il 1260, che rappresenta uno dei primi casi di diffusione sovra regionale di un volgare italiano: fu grazie a loro che un volgare italiano (quello siciliano per l‟appunto) iniziò ad essere considerato una lingua pari alla prestigiosa e contemporanea lingua d‟oc dei trovatori, l‟unico volgare letterario finora conosciuto in Italia. Tornando al dibattito cinquecentesco, tre sono le principali tesi discusse lungo l'intero secolo: la tesi classicista, propugnata da Pietro Bembo nelle Prose della volgar lingua (1525); la tesi “cortigiana” promossa con alcune sfumature da diversi esponenti (Calmeta, Castiglione) che proponeva un modello linguistico ibrido, costituito dalla fusione di diversi volgari italici parlati nel nobile ed elegante ambiente delle corti; la tesi del "fiorentino parlato" sostenuta principalmente da Niccolò Machiavelli nel Discorso intorno alla nostra lingua.
Fu la tesi di Bembo a prevalere, la quale proponeva un canone letterario limitato a Petrarca per la poesia e a Boccaccio per la prosa, tendendo a creare un modello esclusivamente letterario, fortemente elitario e svincolato dalla realtà del parlato. Se da una parte un canone così precisamente e indiscutibilmente delineato qual era quello proposto da Bembo risulta astratto e rigido, dall'altra la proposta bembiana presenta caratteri di universalità che la resero facilmente attuabile e che le concedettero il „trionfo‟.
Da allora le numerose “questioni della lingua” che nacquero in ogni epoca storico-letteraria, riguardarono non più la contrapposizione Latino/Volgare, quanto quella di Italiano/Dialetti (2).
Ed è proprio questa opposizione che mi propongo di analizzare, soffermandomi sul contesto contemporaneo. Oggi la questione lingua/dialetto deve essere affrontata puntando l‟attenzione sul rapporto che ogni individuo della nostra società ha con il dialetto, il quale rapporto assume connotazioni non solo linguistiche, ma anche psicologiche e sociali.
Occorre dunque soffermarsi sulle ideologie che sono presenti all‟interno della nostra società, le quali sono molto spesso veicolate dai pregiudizi che gli individui hanno sul dialetto e sui dialettofoni.
2. Stereotipo e pregiudizio
Pregiudizio viene definito da Allport (1973) un “giudizio negativo sull‟altro, costruito a priori, che induce ad attribuire elementi negativi agli altri, a pensar male di qualcuno o di qualcosa” (cfr. Ruffino, 2006, pg.39). Alla base del pregiudizio vi è lo stereotipo, ovvero “l‟immagine o l‟idea relativa a categorie o gruppi che viene utilizzata per sostenere il pregiudizio” (Ruffino, 2006, pg.39). Lo stereotipo, tuttavia, a differenza del pregiudizio, di cui è nella maggior parte dei casi immediato predecessore, non nasce con tratti esclusivamente negativi: è difatti un elemento cognitivo fondamentale di classificazione, necessario fin dall‟infanzia per immagazzinare ed elaborare le informazioni che provengono dall‟esterno. Lo stereotipo può però degenerare, diventando un modo di categorizzazione rigido e persistente, basandosi su una estensione, a tutti i membri di un determinato gruppo sociale, di caratteri che si ritengono tipici o costitutivi di quel gruppo
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Fu la tesi di Bembo a prevalere, la quale proponeva un canone letterario limitato a Petrarca per la poesia e a Boccaccio per la prosa, tendendo a creare un modello esclusivamente letterario, fortemente elitario e svincolato dalla realtà del parlato. Se da una parte un canone così precisamente e indiscutibilmente delineato qual era quello proposto da Bembo risulta astratto e rigido, dall'altra la proposta bembiana presenta caratteri di universalità che la resero facilmente attuabile e che le concedettero il „trionfo‟.
Da allora le numerose “questioni della lingua” che nacquero in ogni epoca storico-letteraria, riguardarono non più la contrapposizione Latino/Volgare, quanto quella di Italiano/Dialetti (2).
Ed è proprio questa opposizione che mi propongo di analizzare, soffermandomi sul contesto contemporaneo. Oggi la questione lingua/dialetto deve essere affrontata puntando l‟attenzione sul rapporto che ogni individuo della nostra società ha con il dialetto, il quale rapporto assume connotazioni non solo linguistiche, ma anche psicologiche e sociali.
Occorre dunque soffermarsi sulle ideologie che sono presenti all‟interno della nostra società, le quali sono molto spesso veicolate dai pregiudizi che gli individui hanno sul dialetto e sui dialettofoni.
2. Stereotipo e pregiudizio
Pregiudizio viene definito da Allport (1973) un “giudizio negativo sull‟altro, costruito a priori, che induce ad attribuire elementi negativi agli altri, a pensar male di qualcuno o di qualcosa” (cfr. Ruffino, 2006, pg.39). Alla base del pregiudizio vi è lo stereotipo, ovvero “l‟immagine o l‟idea relativa a categorie o gruppi che viene utilizzata per sostenere il pregiudizio” (Ruffino, 2006, pg.39). Lo stereotipo, tuttavia, a differenza del pregiudizio, di cui è nella maggior parte dei casi immediato predecessore, non nasce con tratti esclusivamente negativi: è difatti un elemento cognitivo fondamentale di classificazione, necessario fin dall‟infanzia per immagazzinare ed elaborare le informazioni che provengono dall‟esterno. Lo stereotipo può però degenerare, diventando un modo di categorizzazione rigido e persistente, basandosi su una estensione, a tutti i membri di un determinato gruppo sociale, di caratteri che si ritengono tipici o costitutivi di quel gruppo
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2. Basti pensare all‟importante questione della lingua sviluppatasi nell‟Ottocento e alimentata da Manzoni e Ascoli: il primo sosteneva l‟uso del dialetto fiorentino parlato dai borghesi colti; il secondo credeva che si dovesse fondare, aprendosi a tutte le componenti culturali della nazione, una lingua capace di creare uno strumento reale di comunicazione.
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sociale. Ecco allora che, se lo stereotipo inizia a bloccare le relazioni fra i membri di gruppi che presentano caratteristiche opposte, si può parlare di pregiudizio.
3. Pregiudizi linguistici
Tralasciamo gli innumerevoli pregiudizi di cui la società è al contempo vittima e carnefice (perché tutti – chi più, chi meno – facciamo parte di un determinato gruppo e non di un altro), e soffermiamoci sui pregiudizi linguistici in Italia.
Elemento fondamentale della nascita o del rafforzamento del pregiudizio linguistico nel nostro territorio è stato il programma di unificazione linguistica messo in atto a partire dall‟Unità dell‟Italia, che sosteneva la necessità di imporre
un modello linguistico estraneo alla stragrande maggioranza della popolazione e inevitabilmente di diffondere un‟idea negativa del dialetto, fino a dichiarare, con la legge Coppino del 1877 che “l‟obiettivo primario, al di là dell‟eliminazione delle tracce dei dialetti nell‟ortofonia e nell‟ortografia, è quello dell‟eliminazione dei dialetti”. Crollavano così i due capisaldi della concezione ascoliana:
# “i dialetti non possono essere meccanicamente sostituiti, per di più dall‟alto”. (Ruffino, 2011)
Tralasciamo gli innumerevoli pregiudizi di cui la società è al contempo vittima e carnefice (perché tutti – chi più, chi meno – facciamo parte di un determinato gruppo e non di un altro), e soffermiamoci sui pregiudizi linguistici in Italia.
Elemento fondamentale della nascita o del rafforzamento del pregiudizio linguistico nel nostro territorio è stato il programma di unificazione linguistica messo in atto a partire dall‟Unità dell‟Italia, che sosteneva la necessità di imporre
un modello linguistico estraneo alla stragrande maggioranza della popolazione e inevitabilmente di diffondere un‟idea negativa del dialetto, fino a dichiarare, con la legge Coppino del 1877 che “l‟obiettivo primario, al di là dell‟eliminazione delle tracce dei dialetti nell‟ortofonia e nell‟ortografia, è quello dell‟eliminazione dei dialetti”. Crollavano così i due capisaldi della concezione ascoliana:
# “i dialetti non possono essere meccanicamente sostituiti, per di più dall‟alto”. (Ruffino, 2011)
# “dialetti e lingua possono convivere, e la scuola deve guidare al possesso della lingua italiana attraverso un paziente lavoro di comparazione e integrazione” (ibidem).
Vorrei a questo punto precisare una mia considerazione. Per quanto “violento” sia stato questo modo di agire da parte del governo neonazionale, e tenendo sempre presente l‟importanza che i fermenti filodialettali hanno avuto nella nostra storia linguistica, ritengo che un‟azione dura contro i dialetti e i regionalismi, sia stata necessaria in un primo momento per la creazione di una lingua unica, essenziale per uno stato coeso; credo inoltre che se pur ci sia stato da parte del gruppo dirigente un fattore egemonico verso i subalterni affinché questi rimanessero in una condizione di inferiorità (Francescato, 1996), in fondo l‟azione contro i dialetti è stata, solo ed esclusivamente nella fase iniziale, necessaria per creare praticamente da zero una lingua nazionale.
Tuttavia, per quanto ciò possa essere stato legittimo in passato, questo non esclude che oggi, essendo stato raggiunto lo scopo prefissato, sia necessario intervenire concretamente con un‟attività reale e applicativa per valorizzare i diversi patrimoni linguistici regionali.
Ritengo opportuno a questo punto analizzare la situazione legislativa italiana, concentrandomi in particolare sulla Sicilia, riguardo i provvedimenti linguistici all‟interno delle scuole.
Vorrei a questo punto precisare una mia considerazione. Per quanto “violento” sia stato questo modo di agire da parte del governo neonazionale, e tenendo sempre presente l‟importanza che i fermenti filodialettali hanno avuto nella nostra storia linguistica, ritengo che un‟azione dura contro i dialetti e i regionalismi, sia stata necessaria in un primo momento per la creazione di una lingua unica, essenziale per uno stato coeso; credo inoltre che se pur ci sia stato da parte del gruppo dirigente un fattore egemonico verso i subalterni affinché questi rimanessero in una condizione di inferiorità (Francescato, 1996), in fondo l‟azione contro i dialetti è stata, solo ed esclusivamente nella fase iniziale, necessaria per creare praticamente da zero una lingua nazionale.
Tuttavia, per quanto ciò possa essere stato legittimo in passato, questo non esclude che oggi, essendo stato raggiunto lo scopo prefissato, sia necessario intervenire concretamente con un‟attività reale e applicativa per valorizzare i diversi patrimoni linguistici regionali.
Ritengo opportuno a questo punto analizzare la situazione legislativa italiana, concentrandomi in particolare sulla Sicilia, riguardo i provvedimenti linguistici all‟interno delle scuole.
III. Aspetti legislativi
Per esaminare il nostro percorso legislativo partiamo dalla Costituzione Italiana e leggiamo gli articoli 3 e 6:
Art.3
“tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali (…) è compito della repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l‟eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all‟organizzazione politica, economica e sociale del Paese”
Art. 6:
“La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”
E ricordiamo che l‟art. 9 tutela il patrimonio storico, ovvero non solo le lingue delle minoranze, ma ogni idioma parlato sul territorio della Repubblica.
L‟art 14 e l‟art 17 dello Statuto della Regione Siciliana concedono alla Sicilia una condizione particolare non solo rispetto alle regioni a statuto ordinario, ma anche rispetto ad altre regioni a statuto speciale, i cui ordinamenti prevedono in materia una potestà legislativa di integrazione e attuazione delle leggi statali; nonostante ciò, non si è nel passato configurata una vera e propria strategia per un organico intervento in materia. Sicuramente però – è bene ribadirlo – ha avuto una grande incidenza negativa sull‟azione del parlamento regionale la mancata definizione della normativa di attuazione in materia di pubblica istruzione, ai sensi dell‟art. 43 dello Statuto Siciliano, normativa emanata solo nel 1985 e di cui parleremo più avanti.
Concentrandoci sulla Regione Sicilia, la situazione linguistica va da una parte considerata all‟interno del più vasto quadro della realtà linguistica e sociolinguistica italiana, ma d‟altra parte presenta delle specificità che derivano da una storia regionale del tutto particolare, movimentata e ricca di culture e lingue diverse.
Il siciliano, all‟interno della classificazione dei dialetti italiani, è incluso nella sezione dei dialetti meridionali estremi, assieme ai dialetti del Salento e a quelli della Calabria meridionale (cfr carta n°1, pg. 10).
Inoltre, all‟interno della stessa Sicilia vi sono due comunità alloglotte, quella albanese (Piana degli Albanesi, Contessa Entellina, S.Cristina Gela) e quella galloitalica (Piazza Armerina, Sperlinga, Nicosia, ecc.) che convivono con l‟italiano e il siciliano, quest‟ultimo, secondo la classificazione messa a punto da Piccitto(3), ulteriormente suddivisibile in tre aree: il Siciliano Occidentale che comprende il Palermitano, il Trapanese, l‟agrigentino centro-occidentale; il Siciliano Centrale che comprende la parlata delle Madonie, il Nisseno-Ennese, l‟agrigentino orientale; il Siciliano Orientale che comprende le parlate del sud-est e del nord-est, il Catanese-Siracusano, il Messinese.
Il siciliano, all‟interno della classificazione dei dialetti italiani, è incluso nella sezione dei dialetti meridionali estremi, assieme ai dialetti del Salento e a quelli della Calabria meridionale (cfr carta n°1, pg. 10).
Inoltre, all‟interno della stessa Sicilia vi sono due comunità alloglotte, quella albanese (Piana degli Albanesi, Contessa Entellina, S.Cristina Gela) e quella galloitalica (Piazza Armerina, Sperlinga, Nicosia, ecc.) che convivono con l‟italiano e il siciliano, quest‟ultimo, secondo la classificazione messa a punto da Piccitto(3), ulteriormente suddivisibile in tre aree: il Siciliano Occidentale che comprende il Palermitano, il Trapanese, l‟agrigentino centro-occidentale; il Siciliano Centrale che comprende la parlata delle Madonie, il Nisseno-Ennese, l‟agrigentino orientale; il Siciliano Orientale che comprende le parlate del sud-est e del nord-est, il Catanese-Siracusano, il Messinese.
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3. Giorgio Piccitto, Il siciliano dialetto italiano, 1959.
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Il primo provvedimento emanato da un organismo regionale in materia didattica fu il decreto presidenziale 10 luglio 1951, n.91/A, intitolato “Modifica ai programmi delle scuole elementari della Regione Siciliana”.
Interessante è osservare il contesto all‟interno del quale matura tale provvedimento: il dopoguerra italiano, subito dopo la caduta del fascismo, quando sono stati redatti i programmi per le scuole elementari e materne approvati con D.L n. 459 del 24 maggio 1945, provvisori e scarsamente attenti al rapporto italiano-dialetto (si raccomanda unicamente al maestro di evitare dialettalismi quando legge a voce alta), che in pratica confermavano la normativa precedente(4), la quale aveva oscurato i barlumi di una educazione linguistica
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4. R.D. n.577 del 5 febbraio 1928; R.D. n.1297 del 26 aprile 1928.Interessante è osservare il contesto all‟interno del quale matura tale provvedimento: il dopoguerra italiano, subito dopo la caduta del fascismo, quando sono stati redatti i programmi per le scuole elementari e materne approvati con D.L n. 459 del 24 maggio 1945, provvisori e scarsamente attenti al rapporto italiano-dialetto (si raccomanda unicamente al maestro di evitare dialettalismi quando legge a voce alta), che in pratica confermavano la normativa precedente(4), la quale aveva oscurato i barlumi di una educazione linguistica
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rispettosa del dialetto, quale era quella della Riforma Gentile del ‟23, con i programmi Lombardo Radice(5), illuminato pedagogista siciliano.
Al decreto del 1951, preceduto dunque da attività legislative e culturali scarsamente attente alla tematica linguistico-dialettale, vengono allegati i nuovi programmi, la cui ampia e pertinente Premessa viene considerata un esempio di rigore e lungimiranza. Nella prima parte di questa vengono rese esplicite le particolari condizioni locali in cui si affermano le preoccupazioni del governo per la pubblica amministrazione, le quali hanno
“una doppia urgente finalità: liberare l‟isola nel più breve tempo possibile delle residue aliquote dell‟analfabetismo e della depressione culturale ed orientare la formazione dei fanciulli verso quelle finalità educative che, da una parte, scevre da ogni astrattismo, possano servire di fondamento alla più alta espansione di una libera personalità umana e dall‟altra, nei limiti della scuola elementare, possano realizzare le strutture fondamentali del cittadino moderno sulla consapevolezza riflessa di quei vincoli spirituali che lo legano indissolubilmente e originariamente all‟ambiente natio”.(6)
Viene inoltre considerato
(…) legittimo e preliminare che essa [l‟autonomia regionale] affondi sempre più le sue radici nella coscienza del popolo siciliano, elevandolo ad intendere meglio e, perciò stesso, a presidiare le profonde radici della sua riorganizzazione sociale ed economica e, con questa, i suoi più impegnativi doveri verso la collettività nazionale”.
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5. Per mostrare la differenza abissale fra il programma De Vecchi e quello Lombardo Radice si possono prendere in esame poche righe. Ad esempio, laddove Lombardo Radice scriveva che il maestro deve migliorare la propria didattica “Vivendo con animo partecipe la vita del suo popolo; riascoltando la voce dei grandi (…) cercando nuova guida al suo spirito in buoni libri”, De Vecchi oppone che il maestro “deve vivere con animo partecipe la vita della Nazione ravvivando (. . .) sulla voce dei Grandi”. Le modifiche attuate dimostrano infatti una tensione verso la storia Nazionale, per creare quasi una sorta di fede nei valori da essi esposti.
6. Per questa e per le altre citazioni di questo paragrafo la fonte è G.Ruffino Scuola, Dialetto, Minoranze linguistiche. L’attività legislativa in Sicilia (1946-1992), Palermo, 1992.
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Più avanti si parla della “urgenza di una scuola nella quale il fanciullo viva, con intelligenza riflessa, il suo stesso mondo e costruisca in esso e per esso la sua personalità”. Accade infatti spesso (anche tutt‟oggi) che l‟alunno trovi nella scuola un complesso di idee che gli sono del tutto estranee, su cui però dovrà fondare –o sarà costretto a fondare– la propria vita individuale e sociale. Così
“il fanciullo subisce due violenze che lo rendono più recalcitrante o un fantoccio: la prima consiste appunto nell‟elaborazione astratta di una organizzazione di idee alla quale egli perviene senza una partecipazione attiva e vissuta della sua vita interiore; l‟altra, nella obliterazione sistematica di questa sua vita, respinta sempre come una vita inferiore, della quale egli debba quasi vergognarsi, una volta che la scuola, con tutta la solennità del suo prestigio, ostenta di ignorarla, quando apertamente non la nega e non la disprezza. (…) il fanciullo vive nella scuola una doppia vita (…), motivo non ultimo questo della povertà interiore della nostra vita scolastica, che decade sempre più al valore di una necessità strumentale e pratica che bisogna subire”.A proposito del problema dell‟educazione nazionale, si sottolinea con forza e passione – perché questa è una legge che nasce da autentiche passioni e tensioni ideali – che la scuola può essere contemporaneamente regionale e nazionale solo se si riesce a vivificare i valori della tradizione regionale “per trarre dalla loro ricchezza i richiami ad una capacità di ritrovarsi con piena libertà in un mondo spirituale più vasto, questo è il compito precipuo di una scuola regionale educativa”, ma tutto ciò resterebbe una enunciazione astratta se non si attingesse ai “principi immediati della condotta che l‟individuo vive nella sua prima esperienza”, e tra questi in primo luogo vi è sicuramente il linguaggio natio.
Alla fine della premessa si giunge così alla definizione di un diverso approccio del maestro con la cultura regionale: esso dovrà tenere costantemente presente “l‟opportunità di non respingere i motivi della coscienza e della cultura regionale”.
Per quanto riguarda i programmi, in quelli concernenti la lingua italiana ritorna per intero la concezione educativa di Lombardo Radice. Tra le Avvertenze correlate si ritrova:
“solo si reputa necessario sottolineare, nello sviluppo dell‟insegnamento, in tutte le sue fasi, l‟opportunità di coltivare quel complesso di sentimenti e quel particolare pathos che sostanziano e caratterizzano l‟anima regionale: e poiché essi si rivelano immediatamente e genuinamente nell‟espressione dialettale, ne consegue che questa deve essere assunta come un elemento positivo del processo dell‟educazione; e, da una parte va elaborata e trasfigurata nell‟acquisto progressivo della lingua nazionale, dall‟altra va considerata come il mezzo unico e naturale col quale la coscienza infantile si rivela all‟educatore”.
Tuttavia questo decreto –il più vivo e il più serio per almeno mezzo secolo della nostra legislazione– fu un provvedimento del tutto isolato e di conseguenza inefficace: da lì a qualche anno nei programmi Ermini (D.P.R n. 503 del 14 giugno 1955) si affermerà: “L‟insegnante dia sempre l‟esempio del corretto uso della lingua nazionale e, pur accogliendo le prime spontanee espressioni dialettali degli alunni, si astenga di rivolgere loro la parola in dialetto”. Nel secondo ciclo poi non si dovranno confondere i modi del dialetto con quelli della lingua e “si cercherà ogni occasione per disabituarli dagli idiotismi e dai solecismi”.
Nonostante ciò non si può ignorare il fatto che proprio in questi anni, all‟interno di una società che lentamente stava risorgendo dalle macerie della guerra, mentre la scuola stentava ad uscire da condizioni di forte arretratezza e le prospettive di un rinnovamento nell‟educazione linguistica, come abbiamo visto, cadevano nel vuoto, nacquero una nuova “questione della lingua” e nuove forme di impegno militante: i ripetuti interventi di Pasolini e Calvino; l‟insegnamento di Don Milani, che dichiarava «la lingua ci fa uguali», analizzandola nel suo aspetto sociale(7); la presenza di nuovi libri di grammatica nei quali il rigido impianto normativo viene abbandonato per rivolgere maggiore attenzione alle varietà del repertorio linguistico italiano, con particolare riguardo all‟italiano regionale e al dialetto; l‟impegno di una nuova generazione di linguisti (Tullio De Mauro) e insegnanti elementari (Gianni Rodari, Bruno Ciari) che, assieme ai nuovi movimenti e alle nuove associazioni (SLI, GISCEL, CIDI, MCE) risposero all‟esigenza di far acquisire l‟italiano senza traumi, senza creare complessi nei riguardi del dialetto e della cultura dialettale.
Soltanto alla fine degli anni ‟70 venne presentato un significativo disegno di legge di iniziativa governativa riguardante “provvedimenti intesi a favorire lo studio del dialetto siciliano e delle lingue delle minoranze etniche nelle scuole dell‟Isola”(8). Questa proposta legislativa il 6 maggio 1981 divenne a tutti gli effetti legge della Regione Siciliana (L.R. n.85 ). Tra gli interventi più interessanti:
a) L‟autorizzazione per “attività integrative volte all‟introduzione dello studio del dialetto ed all‟approfondimento dei fatti linguistici, storici, culturali ad esso connessi ” (art.1),
b) La concessione di contributi “per l‟acquisto di sussidi didattici e di testi da utilizzare per la sperimentazione” e “per la corresponsione ai docenti che, in aggiunta al normale orario di servizio, espleteranno anche l‟attività integrativa di insegnamento del dialetto (art. 3);
c) L‟istituzione o la promozione da parte dell‟Assessorato regionale di corsi di aggiornamento culturale sulla materia del dialetto siciliano per i docenti
Nonostante ciò non si può ignorare il fatto che proprio in questi anni, all‟interno di una società che lentamente stava risorgendo dalle macerie della guerra, mentre la scuola stentava ad uscire da condizioni di forte arretratezza e le prospettive di un rinnovamento nell‟educazione linguistica, come abbiamo visto, cadevano nel vuoto, nacquero una nuova “questione della lingua” e nuove forme di impegno militante: i ripetuti interventi di Pasolini e Calvino; l‟insegnamento di Don Milani, che dichiarava «la lingua ci fa uguali», analizzandola nel suo aspetto sociale(7); la presenza di nuovi libri di grammatica nei quali il rigido impianto normativo viene abbandonato per rivolgere maggiore attenzione alle varietà del repertorio linguistico italiano, con particolare riguardo all‟italiano regionale e al dialetto; l‟impegno di una nuova generazione di linguisti (Tullio De Mauro) e insegnanti elementari (Gianni Rodari, Bruno Ciari) che, assieme ai nuovi movimenti e alle nuove associazioni (SLI, GISCEL, CIDI, MCE) risposero all‟esigenza di far acquisire l‟italiano senza traumi, senza creare complessi nei riguardi del dialetto e della cultura dialettale.
Soltanto alla fine degli anni ‟70 venne presentato un significativo disegno di legge di iniziativa governativa riguardante “provvedimenti intesi a favorire lo studio del dialetto siciliano e delle lingue delle minoranze etniche nelle scuole dell‟Isola”(8). Questa proposta legislativa il 6 maggio 1981 divenne a tutti gli effetti legge della Regione Siciliana (L.R. n.85 ). Tra gli interventi più interessanti:
a) L‟autorizzazione per “attività integrative volte all‟introduzione dello studio del dialetto ed all‟approfondimento dei fatti linguistici, storici, culturali ad esso connessi ” (art.1),
b) La concessione di contributi “per l‟acquisto di sussidi didattici e di testi da utilizzare per la sperimentazione” e “per la corresponsione ai docenti che, in aggiunta al normale orario di servizio, espleteranno anche l‟attività integrativa di insegnamento del dialetto (art. 3);
c) L‟istituzione o la promozione da parte dell‟Assessorato regionale di corsi di aggiornamento culturale sulla materia del dialetto siciliano per i docenti
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7. Don Milani considerava la lingua un fattore di esclusione e soggezione nei confronti di chi sa parlare “meglio” da parte dei “poveri linguisticamente”, i quali, finché rimarranno in una condizione di questo tipo, saranno inevitabilmente soggetti a disinformazione, al raggiro e ad una condizione dichiaratamente inferiore.
8. Presentato il 15 dicembre 1979 dal Presidente della Regione Sicilia Pier Santi Mattarella su proposta dell‟Assessore per i Beni Culturali e ambientali e per la Pubblica Istruzione Luciano Ordile.
_________________________________________________________________________________8. Presentato il 15 dicembre 1979 dal Presidente della Regione Sicilia Pier Santi Mattarella su proposta dell‟Assessore per i Beni Culturali e ambientali e per la Pubblica Istruzione Luciano Ordile.
Già al momento della discussione in aula del disegno di legge si sviluppò sulla stampa siciliana un serrato dibattito in merito al valore e al significato della legge, i suoi presupposti e le prospettive: si alternarono opinioni favorevoli (Buttitta, Lo Piparo), contrarie (Farinella), scettiche (Calvino, Sciascia). In particolare Lo Piparo, in quanto linguista particolarmente attento alla questione, puntualizzò che sarebbe stato “scientificamente scorretto e politicamente nocivo studiare e fare studiare i dialetti come realtà linguistiche separate dalla lingua italiana, e [sarebbe stato] altrettanto scorretto e nocivo studiare e fare studiare la lingua italiana senza collegarla con lo studio dei dialetti italiani. Lo stesso discorso vale per la letteratura”.
Un dibattito tuttavia poco determinante, se pur molto sentito dai partecipanti, considerando che, per la carenza degli strumenti didattici e per la indisponibilità ad attivarli, la legge n.85/1981 fallì nel giro di pochissimi anni.
A questo punto si arriva alla sopracitata normativa del 1985 (D.P.R 14 maggio 1985, n. 246) che porta il titolo “Norme di attuazione dello Statuto della Regione Siciliana in materia di pubblica istruzione”: si stava finalmente aprendo uno spiraglio verso la prospettiva di una organica e complessiva politica scolastica della regione. Tale normativa, tuttavia, non concedeva un adeguato spazio all‟educazione linguistica in merito al dialetto, e per questo vennero presentati tre disegni di legge di iniziativa parlamentare sulla base dell‟art 4 delle Norme di attuazione, che consente la istituzione di “insegnamenti di interesse regionale integrativi delle materie previste dalla normativa statale nel rispetto delle norme sullo stato giuridico del personale docente”: il ddl n.139 del 6 dicembre 1986, dal titolo “Norme per consentire l‟integrazione dei programmi d‟insegnamento scolastico nella Regione siciliana” e il successivo ddl n.165 del 7 gennaio 1987 dal titolo “Norme per consentire ai circoli didattici l‟integrazione dei programmi di insegnamento scolastico” prevedevano come insegnamento integrativo il “dialetto siciliano” nelle scuole elementari e “dialettologia” nella scuola media di primo grado. Il terzo disegno di legge, n.499 del 22 aprile 1988 dal titolo “Attuazione del diritto allo studio a favore degli studenti delle scuole elementari e medie inferiori e superiori” prevedeva nelle scuole elementari “lo studio del dialetto siciliano”, mentre nelle scuole medie inferiori e superiori si aggiunge, oltre allo studio del dialetto, un “approfondimento dei fatti storici e culturali ad esso connessi”.
Questi tre disegni di legge successivamente vennero in parte inglobati nel ddl n.50 del 9 ottobre 1991 sugli “interventi per l‟attuazione del diritto allo studio in Sicilia”, in cui però l‟unico accenno al problema linguistico si ha nel pt f) dell‟art. 1, dove viene enunciata la finalità di
“promuovere e sostenere attività di legislazione anche con l‟istituzione di insegnamenti di interesse regionale e con lo studio di discipline volte a favorire una consapevole educazione ambientale, e di una seconda lingua estera, garantendo il rispetto e lo studio del dialetto siciliano, nonché lo sviluppo delle culture locali, con particolare tutela per le minoranze linguistiche”.
Questo accorpamento all‟interno di un solo articolo di elementi assai diversi quali l‟educazione ambientale, la lingua straniera, il dialetto e le minoranze linguistiche conferisce al tutto un‟impronta di approssimazione, considerando per di più che si usa con riferimento alle culture locali e alle minoranze linguistiche il termine “sviluppo”, in questo caso sicuramente improprio (Ruffino, 1992).
Inoltre la legge tratta in maniera sommaria e generica la parte relativa alla scuola dell‟obbligo e alle medie superiori. Ad esempio, i programmi scolastici relativi alla scuola primaria presentano, riguardo all‟educazione linguistica e al rapporto con il dialetto, solo la considerazione che “il fanciullo ha un‟esperienza linguistica iniziale di cui l‟insegnante dovrà attentamente rendersi conto e sulla quale dovrà impostare l‟azione didattica”; mentre i programmi della scuola media ribadiscono che “la particolare condizione linguistica della società italiana, con la presenza di dialetti diversi e di altri idiomi o con gli effetti di vasti fenomeni migratori, richiede che la scuola non prescinda da tali varietà di tradizioni e di realtà linguistica”.
Si nota bene dunque che dal 1951 al 1991 si è avuta una progressiva distrazione dalle tematiche linguistiche inerenti al dialetto rispetto alle esigenze vivissime nel decreto del ‟51.
Per quanto riguarda, inoltre, la proposta di «insegnamenti aggiuntivi», in particolare di quelli che presentano un carattere linguistico-dialettologico, non tutti sono concordi. Il rischio è difatti molteplice:
# Non sono infrequenti atteggiamenti di vuoto e deleterio folclorismo da parte di alcuni insegnanti chiamati a trattare i temi della cultura dialettale;
# L‟istituzione di insegnamenti extracurriculari sembrerebbe ignorare l‟esigenza di considerare la diversità come arricchimento costante all‟interno della complessità dei processi educativi;
# Potrebbe determinarsi da un lato una sorta di «perniciosa ipertrofia didattica» (Ruffino, 1992), dall‟altro un marginalizzazione delle materie stesse.Concludendo la rassegna della legislazione scolastica in ambito linguistico, bisogna ricordare la legge regionale più recente, emanata meno di un anno fa, che riporta il titolo “Norme sulla promozione, valorizzazione ed insegnamento della storia, della letteratura e del patrimonio linguistico siciliano nelle scuole” (L.R. n.9 del 31 maggio 2011), la quale ha suscitato un vivo dibattito, cui hanno partecipato eminenti studiosi –Andrea Camilleri, Vincenzo Consolo, Enzo Sellerio, Giovanni Ruffino, Franco Lo Piparo ecc – che ricorda il già citato dibattito di trent‟anni fa in relazione alla legge del 1981.
I profondi cambiamenti della società (ad esempio il fenomeno leghista che ha trasformato i valori dialettali in mera propaganda politica) portano alla necessaria assunzione di precauzioni. Su ciò ci fa riflettere anche il recente intervento di Lo Piparo nato in seno al dibattito suddetto, secondo cui la “striminzita relazione che accompagna la proposta di legge” mostra a chiare lettere la totale ignoranza di ciò che si vuole tutelare e, purtroppo come previsto, il rischio della demagogia. Tutto ciò diviene sempre più concreto quando ci si rende conto che le attività del Governo Regionale vanno nel senso opposto: si è declassato il Centro di studi filologici e linguistici siciliani –l‟istituzione più antica, prestigiosa e attiva della regione– e quasi contemporaneamente si è rifiutata la proposta avanzata da linguisti, storici e antropologi di diverse Università siciliane, di redigere, con finalità scolastica, un testo di storia linguistica e culturale della Sicilia, basato sulla consapevolezza che non sia possibile studiare la storia linguistica della Sicilia a prescindere dalla storia linguistica e letteraria dell‟Italia, così come non esiste storia della lingua italiana senza la storia dei dialetti.
Se allora non ci si lascia guidare da veri esperti nel settore – o meglio nei settori – come sarà possibile intervenire organicamente, in maniera seria e profonda sull‟educazione linguistica?
E difatti non è possibile, come dimostra la scarsa messa in pratica dei programmi ministeriali in questo ambito. Pochi sono gli insegnanti che approfondiscono a scuola i fatti storici e socio-culturali connessi con il dialetto, sebbene nel 64,3% dei casi gli studenti si dichiarino favorevoli a studiarlo.
Per concludere, bisognerebbe capire che difficilmente si riuscirà a migliorare la didattica linguistica se molti insegnanti non cambieranno i loro personali giudizi sul dialetto perché se “gli insegnanti continueranno a esprimere giudizi sul dialetto «sciatto» e «sbagliato» contrapposto alla lingua «grammaticale», i bambini finiranno col convincersene, anche perché, quasi sempre, i giudizi espressi in famiglia sono dello stesso tipo” (Ruffino 2006, 44).
IV.
La ricerca
1 1. I precedenti
Un’opera che ha sicuramente influenzato la mia ricerca e che,
anzi, mi ha dato lo spunto per iniziarla, è «L’indialetto ha la faccia scura. Giudizi e pregiudizi linguistici dei
bambini italiani» di Giovanni Ruffino (2006). L’opera è il risultato di una
ricerca iniziata nel 1995 che aveva lo scopo di fare emergere l’ideologia
linguistica in un ampio campione di preadolescenti. La ricerca consistette
nella somministrazione della domanda “Qual è secondo te la differenza tra
lingua italiana e dialetto?” (che è una delle domande che io ho posto al mio
campione di studenti) ai bambini delle classi quarte e quinte delle scuole
primarie di tutta Italia, per un totale di 9.000 elaborati, di cui 1.800 testi
particolarmente interessanti dal punto di vista linguistico, ideologico e
argomentativo vennero presi in considerazione per la pubblicazione.
La ricerca ha prodotto i risultati sperati. Ha difatti
testimoniato che “il sentimento intuitivo che i parlanti hanno della propria
lingua è già presente in loro [bambini di 8-10 anni], pur intriso di
pregiudizi, pur edificato e irrobustito attorno a stereotipi tenaci, offerti
loro dai «grandi»” e permette di dichiarare, con un pizzico di compiacimento,
che si sta quasi compiendo il «traghettamento verso una lingua comune –magari
una lingua più dimessa al cospetto della grande tradizione letteraria –,
perseguita pure con errori, contrapposizioni e censure»: è una lingua che tende
verso il nuovo, verso il cosmopolitismo, ma che non dimentica l’originaria
patria sociale e linguistica, con cui ancora i bambini devono confrontarsi
tutti i giorni.
2. Il contesto territoriale e sociale
Terrasini è un comune di circa 11.000 abitanti, in provincia di
Palermo, da cui dista circa 30 km. Confina con il mar Tirreno e con i comuni di
Cinisi, Trappeto, Partinico e Carini.
Dal punto di vista naturale è da porre in giusto rilievo, oltre
alla presenza di suggestive coste (come quella di Calarossa, caratteristica per
l’insolito colore rossastro), la riserva naturale orientata Capo Rama sotto la
gestione del WWF, individuata come "biotopo di inestimabile valore" e
inserito nell’elenco dei geositi(9) italiani.
L’economia di Terrasini ruota per gran parte intorno all’attività
marittima e per il resto sull’agricoltura e sul turismo. Perciò l’approdo (u
scaru) fino a qualche decennio fa rappresentava il vero centro nevralgico
attorno al quale si svolgeva la vita lavorativa di gran parte dei paesani, i
pescatori, che costituivano oltre la metà delle famiglie del paese. L’aspetto
del porto è profondamente cambiato rispetto a quando era un naturale rifugio
per le barche da pesca allora tutte di legno, ma ravvivate dagli accesi colori
di cui erano dipinte. Oggi ovviamente vi si ritrovano le barche a vela e le
moderne imbarcazioni da diporto, anche se rimane una zona riservata alla flotta
peschereccia, ormai costituita solo da grossi pescherecci per la pesca d’altura.
Il nome del paese ha origini
antiche. La sua prima attestazione scritta si ha su un atto notarile del 1292,
sotto la forma di “contrata Terrasinorum, presso Partinico”(10) e il nome stesso (dal latino,
“terra delle insenature”) rende le caratteristiche topografiche del tratto di
costa, fitto di insenature di diversa grandezza, tra la Torre Molinazzo e
quella di Capo Rama, in cui era situata la contrada.
Nel
1836 con un Decreto Reale il sobborgo di Favarotta, facente parte del Comune di
Cinisi, venne aggregato al Comune di Terrasini, aggiungendosi come quartiere a
quelli già esistenti (Castello, Piazza, Madrice, Marina). Favarotta nacque
probabilmente nel XVII secolo in prossimità di una sorgente d’acqua, la fonte
Favara (dall’arabo fawara), origine del toponimo. Da quel momento e, per
molto tempo, il Comune prese il nome congiunto di Terrasini-Favarotta, ma le
due realtà, seppur adesso politicamente e anche urbanisticamente fuse in una
sola, sono rimaste a lungo culturalmente e socialmente separate, tanto da poter affermare che
il centro abitato potrebbe essere diviso in tre parti secondo la prevalenza del
mestiere: una zona a monte della via Mons. Evola abitata prevalentemente da
contadini, una zona centrale abitata da gente occupata nel settore terziario e
la zona della marina abitata da pescatori e commercianti del pesce (11).
È tra la prima e l’ultima zona che permangono tutt’oggi delle
differenze socio-culturali, residui delle due antiche e differenti realtà.
Un’inchiesta
di antropologia culturale condotta nel 1972 da Anna Maria Consiglio(12) ha
messo in evidenza l’esistenza dei due suddetti nuclei culturali (pescatori e
contadini).
Le differenze di carattere linguistico che contraddistinguono i
due gruppi devono considerarsi all’interno di una situazione sociale che vede
il divario fra mondo contadino e mondo marinaro manifestarsi già sul piano
degli insediamenti abitativi: come già detto, infatti, i pescatori abitano
prevalentemente nella zona prospiciente il mare e addirittura la gran parte di
questi in un quartiere specifico, chiamato appunto “Villaggio pescatori”,
mentre gli agricoltori si ritrovano nella zona a ridosso delle colline
circostanti.
Da una serie di ricerche dialettologiche compiute dal prof.
Giovanni Ruffino alla fine degli anni ’60(13), è
emersa perfino la presenza di isoglosse che trovano quasi una perfetta
corrispondenza nell’antico confine amministrativo. Ciò ovviamente non vuol dire
che all’interno del paese ci siano due fazioni opposte e contrastanti, in
quanto sicuramente vi è una pacifica convivenza, dovuta anche e soprattutto
alla disponibilità degli appartenenti ai due gruppi a contrarre matrimoni tra
di loro. Potremo parlare più correttamente di subculture, facendo riferimento
anche a un certo carattere inconscio di questa divisione, il quale però
riemerge in determinati contesti, tra cui in particolare quello linguistico e
onomastico – ad esempio i cognomi più diffusi di pescatori (Ciaramitaro, Di
Mercurio, Napoli, ecc.) non trovano alcuna corrispondenza tra le famiglie
tradizionalmente legate all’agricoltura, e lo stesso avviene per i cognomi più
diffusi nei quartieri prevalentemente agricoli (D’Anna, Serra, Vitale, ecc).
Le differenze più rilevanti tra le due parlate riguardano in
particolare l’intonazione, il lessico, la sintassi, la morfologia e la
fonetica. Percorriamo rapidamente questi casi(14).
L’intonazione
è forse la caratteristica più evidente ad un primo approccio con i
parlanti. La gente del contado presenta una cadenza contrassegnata da pause
frequenti, da una nitida sillabazione e dalla frequente presenza di arcaismi
(oggi sempre meno usati), mentre nei pescatori la cadenza tende ad assumere un
ritmo più concitato.
Nel lessico, e in particolare in alcuni termini, si rende
manifesta la spiccata tendenza innovativa che contrappone la parlata marinara
rispetto a quella agricola, che mantiene dei termini da tempo scomparsi nella
zona marinara.
Per quanto riguarda la sintassi, bisogna enunciare una
caratteristica tipica inizialmente dei pescatori e poi diffusasi in tutto il
paese: nel caso in cui la frase interrogativa non sia introdotta da un pronome
o da un avverbio interrogativo si aggiunge una voce del verbo fare – come nel
caso di “chiuóvi fa?” – che può anche estendersi
alle risposte.
Morfologicamente, nelle parlate marinare –a
differenza di quelle del contado– l’articolo determinativo ridotto (u, a, i),
unito con le varie preposizioni, dà luogo a una forma contratta risultante
dalla fusione con la vocale della preposizione: rû invece di ri lu. Prendendo
in esame il sistema dei verbi, si nota inoltre che, mentre nella parte bassa
del paese in luogo del condizionale si usa il congiuntivo imperfetto (avissi
‘avrei’, facissi ‘farei’), nella parte alta è ancora vitale il
condizionale (aviŗŗia, faŗŗia ‘farei’), in particolare tra i più
anziani.
Tra i fenomeni fonologici, infine, è da notare il
mantenimento di R nella parte alta del paese (varca ‘barca’), che
evolve in /j/ con il rafforzamento della consonante seguente nella zona
marinara [vàikka]. (NdR: Non sempre è stato possibile “copiare”
ed “incollare” (come risulta invece nell’originale) alcuni particolari segni
fonetici usati dagli specialisti nella trascrizione di particolari parole in
dialetto. È accaduto ad esempio con la parola “vàikka” nella quale andrebbe
inserito il segno ̯
esattamente al di sotto della “i”.
Anche più avanti simili omissioni saranno possibili e per questo ce ne
scusiamo con l’Autrice).
Elementi di questo tipo possono essere riscontrati anche nella
ricerca che ho effettuato e che esporrò più avanti, quando si ritrovano
attestazioni come succi, surci e sùicci (per topo), in una
stessa classe scolastica: ecco che le due realtà, apparentemente fuse, sono in
realtà profondamente vive nella coscienza collettiva, per quanto inconscia, dei
parlanti terrasinesi.
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9. Con il termine Geosito si indicano i beni geologico-geomorfologici
di un territorio intesi quali elementi di pregio scientifico e ambientale del
patrimonio paesaggistico. Fonte: Centro documentazione geositi
[http://www.geomorfolab.it].
10. A. Catalfio – R. La
Duca La toponomastica antica di Terrasini-Favarotta
a cura di Francesco Armetta, Salvatore Sciascia editore, 2010.
11. D’ora in poi parlando di pescatori
e contadini ci riferiremo ovviamente
anche alle loro famiglie e all’intero quartiere.
12. A.M.Consiglio, Le
due culture di Terrasini: a proposito di una ricerca sul campo, in “Uomo
& Cultura”, V, n.9, 1972.
13. Giovanni Ruffino, Le isofone più caratteristiche delle parlate
della Sicilia occidentale, 1970 (tesi di laurea).
14. Giovanni Ruffino, Parlata
agricola e parlata marinara a Terrasini (Palermo), 1973.
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3. Il campione
La ricerca su cui è basata questa tesi ha visto come protagonisti
alunni di alcune classi delle scuole di Terrasini. In particolare sono stati
esaminati alunni di quarta e quinta della scuola primaria, di prima, seconda e
terza della scuola secondaria di primo grado, di prima, seconda terza, quarta e
quinta della scuola secondaria di secondo grado, per un totale di 168 alunni.
Nella seguente tabella schematizzo il numero, l’età e il sesso degli studenti,
in modo da creare una prima idea generale del campione degli intervistati.
La superiorità del sesso femminile (106
su 168) rispetto a quello maschile (57 su 168) è netta nel caso della scuola
secondaria di secondo grado e ciò è dovuto in gran parte al tipo di scuola
(Istituto di Cultura e Lingue) che tende a reclutare
i suoi studenti tra la popolazione femminile, mentre tradizionalmente i ragazzi
sono più numerosi in altre tipologie scolastiche, prevalentemente ad indirizzo
tecnico-scientifico.
4. Il metodo e gli strumenti
La ricerca dei dati necessari all’analisi è avvenuta in due
momenti. Inizialmente, senza preavviso, è stato consegnato agli studenti un
foglio su cui avrebbero dovuto scrivere apertamente quale fosse secondo loro la
differenza fra la lingua italiana e il dialetto. Successivamente, è stato
somministrato loro un questionario anonimo, strutturato in modo diverso in
rapporto a ciascuna delle tipologie scolastiche(15).
Le domande presenti nel questionario toccavano le seguenti sfere
tematiche:
● la
sfera strettamente familiare (mestiere, grado di istruzione, provenienza dei
genitori,
presenza di nonni a casa, fratelli o sorelle),
● la
sfera culturale e scolastica (quanto e cosa si legge, materie preferite,
rapporti con i
compagni),
● la
sfera delle attività extrascolastiche,
●la
sfera più propriamente linguistica, suddivisibile in più sezioni:
# domande sul
comportamento linguistico (“Come parli con i nonni?”; “Ti è
capitato di parlare in siciliano con
gli insegnanti?”)
# domande valutative
(“Secondo te, gli abitanti di Cinisi, di Palermo o di
Partinico parlano in siciliano come quelli
di Terrasini?”)
# domande ottative (“Ti piacerebbe studiare il siciliano a scuola?”,
“Preferisci
parlare in italiano o in siciliano?”)
# domande sulla competenza (traduzione di alcune parole in siciliano
o in
italiano; per le scuole superiori si
presentava un testo nel quale si dovevano
individuare le forme considerate scorrette).
I questionari
Nessun alunno ha tralasciato di rispondere all’intero
questionario, ma si hanno solo alcuni casi in cui gli alunni non rispondono a
singole domande. Ciò ci permette di trarre una prima analisi statistica delle
domande che hanno riscontrato minor favore da parte degli alunni. Esse sono
state:
●
“Qualcuno dei nonni vive in casa con te?”, la cui mancata risposta (4,2%) può
essere interpretata come un no sottinteso (forse per una
sottovalutazione della rilevanza della domanda)
●
“Come parlano i tuoi genitori con i tuoi nonni? Come parlano tra di loro?” (3%
e solo studenti della scuola secondaria di secondo
grado), potrebbe rispecchiare un rapporto genitoriale particolare –quasi la metà
specifica infatti che i genitori sono separati.
Come si vede, dunque, la percentuale dei non rispondenti è
relativamente bassa, considerando che in media la maggior parte degli alunni
non risponde solo a una o due domande e in ogni caso le domande prettamente
linguistiche hanno avuto una percentuale altissima di risposte, fattore che
dimostra una coscienza viva del proprio status linguistico e un rapporto non
passivo con il dialetto.
Propongo a questo punto una più specifica analisi statistica,
domanda per domanda (tralasciando quelle meno rilevanti al fine del discorso),
dei tre questionari, cercando di compiere una comparazione di questi dati
attraverso alcune tabelle.
Domanda
n° 3: “Che scuola hanno
frequentato i tuoi genitori?”
4° e 5° della scuola
primaria
Notiamo
subito che, mentre per le classi della scuola primaria e della secondaria di
secondo grado la condizione culturale dei genitori è medio-elevata (in
particolare nella scuola primaria), nelle classi della scuola secondaria di
primo grado si ha un capitale culturale più ridotto, con una maggioranza di
genitori che hanno raggiunto esclusivamente la scuola media (si giunge a 19
genitori in prima, mentre nelle altre scuole si oscilla fra 8 e 13).
Domanda n° 4a (scuola primaria e secondaria di
primo grado (16)):
“Qualcuno
dei tuoi fratelli/sorelle frequenta scuole superiori fuori Terrasini?”
La domanda ha
riscontrato una risposta che deve essere considerata negativamente, poiché nei
primi tre gradi considerati si ha una risposta positiva inferiore quasi al 50%
rispetto a quelle negative, se pur si debba tenere presente che una risposta
negativa in molti casi è veicolata dall’assenza di fratelli/sorelle o da una
età di questi che non consenta di frequentare scuole secondarie di secondo
grado.
Domanda n°5 per il gruppo A e n°4
per il gruppo B:
“I tuoi genitori ti
hanno regalato qualche volta dei libri?”
Fortunatamente questa domanda, di grande importanza per esaminare
il contesto culturale familiare degli alunni, ha ottenuto in tutti i casi
(tranne per la terza classe della scuola secondaria di primo grado) una grande
preponderanza di SÌ –si nota addirittura
anche un risultato positivo tre e quattro volte (con un picco di quasi cinque
volte per il primo anno di liceo) superiore a quello negativo: i genitori hanno
preso la sana abitudine di comprare dei libri ai figli, integrando così la cultura
scolastica di questi con letture alternative. È un fenomeno di grande
importanza perché da una parte contribuisce a creare quel piacere della lettura
– e dunque, lentamente, della cultura – nei ragazzi, ad una età in cui essi
stanno iniziando a costruirsi il proprio bagaglio di valori, certezze e
abitudini che poi, diventati adulti, difficilmente lasceranno; dall’altro lato
perché, così facendo, i genitori integrano le leggi scolastiche nei confronti
dello studio, mostrando ai figli che imparare può essere un’esperienza
piacevole, al di là dai vincoli del voto scolastico e soprattutto al di là del
puro interesse per il mero “pezzo di carta” che ormai, purtroppo, il diploma
sta finendo sempre più spesso per rappresentare.
A questa domanda si collega la n°5 del gruppo B:
“Compri
mai dei romanzi o simili?”
Per la quale troviamo le seguenti risposte:
Questa
volta non si può dire di avere un risultato altrettanto positivo, anche se i
casi in cui prevalgono le risposte negative si distaccano comunque di poco da
quelle positive.
Domande n° 8 e 11 (solo gruppo A):
“Ti piace andare a scuola?”, “I tuoi genitori ti aiutano a fare i
compiti?”
Per
la prima domanda credo sia inutile il commento, data la presenza in massa di
risposte positive: ai nostri ragazzi piace andare a scuola, accreditando così
la considerazione per cui andare a scuola non significa solo essere interrogati
o ascoltare la lezione. Per quanto riguarda la seconda domanda, invece, fino
alla prima della scuola secondaria di primo grado si ha una forte presenza dei
genitori durante il compimento dei compiti scolastici, la quale però diminuisce
drasticamente – e fortunatamente, suggerirei – dalla seconda in poi. I genitori
in realtà non dovrebbero partecipare allo svolgimento dei compiti che dovrebbe
riguardare solo l’alunno e ciò che egli ha appreso in classe; tuttavia, proprio
perché presente in particolare nelle prime classi, ciò può essere considerato
un modo per approcciare gli studenti ad un metodo di studio rapido ed efficace.
Domanda n° 12 per il gruppo A e n°8
per il gruppo B:
“Cosa fai quando non sei a casa e non studi?”
Confermando
le mie aspettative, la maggior parte degli alunni ha come passatempo preferito
l’uscire con gli amici (65% dei casi), preferendovi la lettura di racconti o
romanzi, la quale comunque ottiene il secondo posto superando il 25%, seguito
–immancabilmente e straordinariamente solo al terzo posto – dalla televisione
(per il gruppo B) e dai giochi dentro casa (per il gruppo A).
Domanda n° 10 (solo per il gruppo B):
“Quali sono le immagini che ti vengono in mente se dico «dialetto siciliano»?”
Il
risultato della seconda domanda è chiaro: i ragazzi intervistati, quando
incontrano una persona per la prima volta, gli parlano in italiano. Chiare sono
pure le motivazioni: ancora l’italiano viene considerato la lingua del
prestigio, dell’eleganza e della raffinatezza, per cui, se si vuole fare una buona prima impressione è opportuno non parlare il vernacolo. Ma ancora dobbiamo aggiungere il “divieto” da parte dei genitori, come afferma una bambina di Terrasini che dice “Mamma mi dice a casa si, ma a scuola no, però qualche parolina scappa sempre”, come se fosse una colpa e, appunto, un evadere le regole che la famiglia (quasi sempre la mamma, tra l‟altro) stila per vincolare i rapporti sociali dei figli.
Tutto ciò però non vale se l‟interlocutore parla in dialetto, sia perché in questo modo non ci si pone più il problema di „sembrare educati‟, di „parlare male‟ o di non farsi capire, ma anzi, spesso, si pensa che l‟interlocutore (soprattutto se anziano) non sappia parlare in nessun‟altra lingua e parlando in italiano si potrebbe ostacolare la comunicazione o mostrarsi superiori e in ogni caso distaccati.
Tra le immagini che immediatamente vengono in mente ai ragazzi intervistati tre in particolare emergono sulle altre, e tutte riguardano le tradizioni siciliane: il carretto, i cibi tipici –tra questi domina il cannolo – e la coppola. Ciò sicuramente ci fa pensare che il dialetto siciliano è considerato come il detentore fondamentale della cultura e dei valori del proprio paese. Parallelamente a questo, il quarto posto è segnato dai nonni, che mantengono quel dialetto così carico d‟affetto e di ricordi, che difficilmente può essere dimenticato, se pur in qualche caso ai nonni e al dialetto venga associata un‟idea di vecchio e di antico, intesi negativamente. Inoltre si riscontra felicemente che le accezioni esplicite legate alla malavita, presenti nella ricerca precedente effettuata dal prof. G. Ruffino, sono del tutto assenti, confermando l‟ipotesi precedente, per cui il siciliano viene considerato in larga parte la lingua della spontaneità e dei ricordi.
Domanda n°15 per il gruppo A e n°11 per il gruppo B:
“Qualcuno dei nonni vive in casa con te?”
“Qualcuno dei nonni vive in casa con te?”
Il nucleo familiare che nasce da questi risultati esclude la presenza dei nonni, tranne che in qualche raro caso (in terza e in quarta della scuola secondaria di secondo grado si hanno le eccezioni più rilevanti).
Domande n° 16-20 per il gruppo A e n° 12-16 per il gruppo B (tabella successiva).
Iniziano le domande prettamente linguistiche, che, per praticità, si riportano direttamente in tabella:
Un dato che emerge imponente dall‟osservazione della prima domanda è la scarsità di risposte in favore del siciliano per la scuola secondaria di secondo grado, tranne in un solo caso, in quarta, quando si afferma che 6 genitori su 18 – è il dato più rilevante – parlano in siciliano con i nonni rispetto ai gradi scolastici precedenti in cui si ha una certa quantità di risposte positive a questa opzione, in particolare per la classe seconda della scuola superiore di primo grado. In ogni caso le circostanze in cui si parla maggiormente in siciliano risultano essere (in ordine decrescente): quando i genitori parlano con i nonni, quando i nipoti parlano con i nonni, quando i genitori parlano con i figli e infine nei dialoghi tra fratelli. L‟ambito dunque è strettamente familiare e coinvolge in misura più rilevante la vecchia generazione rispetto alla nuova.
Per quanto riguarda invece l‟opzione „sia in siciliano sia in italiano‟, si riscontra una totale superiorità, in tutte le classi, rispetto all‟opzione „in italiano‟ per quanto riguarda il dialogo fra genitori e nonni e una parziale superiorità per quanto riguarda il dialogo dei genitori fra di loro (fanno eccezioni tre classi: la quarta della scuola primaria, la prima e la seconda della scuola secondaria di primo grado). Vediamo, dunque, che, se pur in molti casi in famiglia si parli il siciliano, questo viene considerato non confacente ai rapporti sociali extrafamiliari, confermando dunque l‟idea stigmatizzante del dialetto rispetto all‟italiano che appare in alcuni dei testi posti in Appendice. D‟altra parte la predilezione per l‟italiano emerge chiaramente dai risultati posti in questa tabella: se si confrontano il numero di attestazioni della lingua nazionale con quello del siciliano si nota che quest‟ultimo presenta una quantità maggiore di risposte in suo favore solo in due casi, ad eccezione ovviamente del dialogo fra genitori e nonni che abbiamo detto essere la circostanza in cui il dialetto viene maggiormente parlato.
Per quanto riguarda invece l‟opzione „sia in siciliano sia in italiano‟, si riscontra una totale superiorità, in tutte le classi, rispetto all‟opzione „in italiano‟ per quanto riguarda il dialogo fra genitori e nonni e una parziale superiorità per quanto riguarda il dialogo dei genitori fra di loro (fanno eccezioni tre classi: la quarta della scuola primaria, la prima e la seconda della scuola secondaria di primo grado). Vediamo, dunque, che, se pur in molti casi in famiglia si parli il siciliano, questo viene considerato non confacente ai rapporti sociali extrafamiliari, confermando dunque l‟idea stigmatizzante del dialetto rispetto all‟italiano che appare in alcuni dei testi posti in Appendice. D‟altra parte la predilezione per l‟italiano emerge chiaramente dai risultati posti in questa tabella: se si confrontano il numero di attestazioni della lingua nazionale con quello del siciliano si nota che quest‟ultimo presenta una quantità maggiore di risposte in suo favore solo in due casi, ad eccezione ovviamente del dialogo fra genitori e nonni che abbiamo detto essere la circostanza in cui il dialetto viene maggiormente parlato.
Domanda n° 21 per il gruppo A e n°17 per il gruppo B:
“Ti è capitato di parlare in siciliano con gli insegnanti?”
La gran parte degli alunni dichiara di non aver parlato in siciliano con l‟insegnante e nei casi in cui si dà risposta contraria si specifica risolutamente che è accaduto per sbaglio o per scherzo e in ogni caso sporadicamente. Con ciò implicitamente affermano che parlare in siciliano con l‟insegnante –considerata dunque la detentrice delle norme culturali che vigono in una società per cui solo l‟italiano può essere considerato una lingua– sia assolutamente sbagliato e, se pur qualche volta è accaduto, è certo che non potrà diventare una prassi.
Domanda n°22 per il gruppo A e n°18 per il gruppo B:
“Ti capita di mescolare siciliano e italiano?”
Alla domanda che riguarda l‟interferenza fra italiano e siciliano i ragazzi hanno dichiarato che spesso parlando usano entrambi i codici. Osservazione, questa, che riprende la teoria di Giuseppe Francescato per cui il dialetto non muore ma si trasfigura, “cosa che, a lunga scadenza, può rivelarsi semplicemente come un‟altra maniera di morire” (Francescato, 1986, 205). Un dialetto difatti non è vitale solo in quanto continua ad essere usato, ma può ancora essere considerato tale solo se riesce a resistere all‟«imbastardimento».
Domanda n° 23 per il gruppo A e n°19 per il gruppo B:
“Da piccolo hai iniziato a parlare in siciliano o in italiano?
“Da piccolo hai iniziato a parlare in siciliano o in italiano?
Tutti gli alunni, ad eccezione di qualche raro caso, dichiarano di aver iniziato a parlare in italiano (o nella lingua nazionale del loro paese di provenienza), anche se in alcuni casi si afferma di aver iniziato a parlare sia in siciliano sia in italiano. Ciò conferma la mia idea che ai bambini non si parla in siciliano, ulteriore elemento che caratterizza i rapporti futuri che i bambini avranno con il dialetto, instaurando tutta una serie di stigmatizzazioni che vedremo nel dettaglio nel prossimo capitolo.
Domande n° 24-25 per il gruppo A e n° 20-21 per il gruppo B:
“Come pensi di sapere parlare in siciliano?”, “Come pensi di saper parlare in italiano?”
La maggior parte degli alunni ritiene di saper parlare discretamente il siciliano e bene l‟italiano: difatti notiamo che riguardo all‟opzione „bene‟ si riscontra una quasi totalità di risposte per quanto riguarda l‟italiano – dato che dimostra la totale acquisizione della lingua italiana anche in bambini di 8 anni –, nonostante qualche caso di incertezza, la quale però è molto più rilevante a proposito del siciliano. In entrambi i casi, inoltre, l‟opzione „male‟ ottiene scarsissime indicazioni, se pur in quarta si tocchi la soglia di 5.
Domande n° 26, 28, 29 per il gruppo A e n° 22,24,25 per il gruppo B:
“Preferisci parlare in italiano o in siciliano?” (1),
“Se incontri una persona per la prima volta gli parli in italiano o in siciliano?” (2),
“Se qualcuno ti chiede qualcosa in siciliano tu gli rispondi in siciliano o in italiano?” (3)
La prima domanda di questa serie è una delle più significative, essendo la nozione di piacere vastissima e comprendente le considerazioni personali del dialetto non solo a livello prettamente linguistico, ma anche –e forse soprattutto– sociale. I ragazzi intervistati dichiarano in massa di preferire l‟italiano, nonostante nella scuola secondaria di primo grado si riscontrino dei casi non sottovalutabili: addirittura in seconda i due risultati sfiorano il pareggio. Per questo motivo ho deciso di riportare le motivazioni che questi studenti adducono alla loro preferenza per il siciliano:
● È
una lingua con cui riesco a capirmi con tutti
●
Perché è la mia lingua
●Perché
mi esprimo meglio e mi viene meglio a parlare
●Perché
è più semplice (due studenti)
●Mi
sento più realizzata
●Sono
sicura di non sbagliare
●A
casa parlano tutti così
●Mi
viene megghiu
●Mi
piace questo dialetto
●Quando
mi arrabbio con i miei fratelli parlo in siciliano
●Perché
è la lingua del mio paese, e dopotutto parlano quasi tutti in siciliano
Tutto ciò però non vale se l‟interlocutore parla in dialetto, sia perché in questo modo non ci si pone più il problema di „sembrare educati‟, di „parlare male‟ o di non farsi capire, ma anzi, spesso, si pensa che l‟interlocutore (soprattutto se anziano) non sappia parlare in nessun‟altra lingua e parlando in italiano si potrebbe ostacolare la comunicazione o mostrarsi superiori e in ogni caso distaccati.
Domanda n°30-31 per il gruppo A, n°26-27 per il gruppo B:
“Hai mai notato delle differenze tra il siciliano che parlano gli abitanti di Terrasini che abitano alla marina e il siciliano che parlano i terrasinesi che vivono nelle altre zone del paese?” (1) e
“Secondo te, gli abitanti di Cinisi, di Palermo o di Partinico parlano in siciliano come quelli di Terrasini?” (2)
Domanda n°34 (solo per il gruppo A):
Ricollegandomi a questo punto alla suddetta ricerca del prof. Ruffino17, si osserva, con straordinaria attinenza, che la grande maggioranza delle classi intervistate (7 su 10) nota una differenza fra le due parlate terrasinesi ulteriore prova della radicalizzazione nella cultura (anche subconscia) degli abitanti di Terrasini di queste due subculture.
Sorprendentemente, invece, contro le mie aspettative, mettendo a confronto la parlata terrasinese con quella dei paesi limitrofi, essi non trovano una altrettanto netta differenza (tranne in due sole classi), e il dato risulta interessante in particolare per la scuola secondaria di secondo grado, in cui all‟interno di una stessa classe si ritrovano alunni provenienti da comuni diversi. Evidentemente è ancora insufficiente la piena percezione della variazione diatopica.
_________________________________________________
17 G. Ruffino, 1973
Sorprendentemente, invece, contro le mie aspettative, mettendo a confronto la parlata terrasinese con quella dei paesi limitrofi, essi non trovano una altrettanto netta differenza (tranne in due sole classi), e il dato risulta interessante in particolare per la scuola secondaria di secondo grado, in cui all‟interno di una stessa classe si ritrovano alunni provenienti da comuni diversi. Evidentemente è ancora insufficiente la piena percezione della variazione diatopica.
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17 G. Ruffino, 1973
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“Ti piacerebbe studiare il siciliano a scuola?”
Come in precedenza accennato, la stragrande maggioranza degli alunni vorrebbe studiare il siciliano a scuola, considerandolo dunque una vera e propria lingua, pari a quelle già istituzionalizzate dal sistema scolastico.
Per il gruppo B, tale domanda è stata formulata all‟interno di uno schema di affermazioni: si richiedeva agli studenti se fossero d‟accordo o meno con tali affermazioni. La domanda n° 28 era difatti
“Condividi queste opinioni?”,
ed ecco i risultati:
Per il gruppo B, tale domanda è stata formulata all‟interno di uno schema di affermazioni: si richiedeva agli studenti se fossero d‟accordo o meno con tali affermazioni. La domanda n° 28 era difatti
“Condividi queste opinioni?”,
ed ecco i risultati:
Il dialetto, da ciò che emerge da questa tabella, è rozzo e vecchio, ma ciononostante non deve essere assolutamente proibito (circa l‟84% risponde in tal modo) e anzi deve essere studiato a scuola, sebbene, riguardo quest‟ultimo punto, i ragazzi più grandi si differenzino dai due gradi scolastici precedenti che avevano quasi entusiasticamente affermato di voler studiare il siciliano: gli alunni della scuola secondaria di secondo grado sono fortemente divisi, quasi a metà (il 54% è a favore dello studio del siciliano). Le ragioni di tale risposta sono questa volta difficili da definire, ma sicuramente non sbaglieremmo se in parte le riconducessimo alle definizioni di “rozzo” e “vecchio” che essi stessi hanno attribuito al siciliano.
Domanda n°32 per il gruppo A, n°29 per il gruppo B:
“Come si dice in siciliano…”
“Come si dice in siciliano…”
In
estrema sintesi, i dati e le indicazioni fornite dalla domanda n°32 delineano
un quadro di ampia competenza delle corrispondenze lessicali. In tale quadro
sono rilevabili non poche anomalie trascrittorie, dovute soprattutto alla
difficoltà di scrivere in dialetto (suci per surci, vancoca per
varcoca, picrusinu per pitrusinu, ecc.). tali anomalie,
tuttavia, non alterano la percezione di una buona conoscenza complessiva del
lessico dialettale, che non viene neanche compromessa dai casi sporadici di
italianizzazione (sicchiu per catu, topu per surci,
fuogghia per pampina, albicocu per varcocu, guardari
per taliari, prezzemulino per pitrusinu, ecc.).
Risulta poi sorprendente il gran numero di forme e di varianti in
corrispondenza di “vergognarsi”, che vanno dal pretto corrispondente dialettale
(affruntàrisi), a tipi italianeggianti (vriugnàrisi) entrati però
nell’uso dialettale, a locuzioni del tipo pariri malu, sino alla
rappresentazione dell’effetto della vergogna,
che risulta nella risposta ammucciari (ovvero “nascondersi per la
vergogna”). È ancora da osservare sul versante della competenza la totalità
delle risposte pertinenti in corrispondenza di nozioni quali “ciliegia”, “uva”
e “sedano”, mentre sul versante della incompetenza va segnalata l‟assenza di risposte per
“agave”.
Domanda n° 33 per il gruppo A, n° 30 per il gruppo B:
“Come si dice in italiano…”
“Come si dice in italiano…”
Per quanto riguarda la retroversione
“dialetto-italiano” in linea di massima si riscontrano quattro tipologie di
risposte:
a) Risposte esatte
b) Risposte errate
c) Approssimazioni
d)
Fraintendimenti
Il tipo dialettale che presenta il maggior numero di
risposte più o meno pertinenti è lagnusu, cui corrispondono
saltuariamente voci italiane che potrebbero rientrare, pur con qualche
difficoltà, nel suo campo semantico (come nel caso di “vagabondo”), oppure
risposte che sono effetto di fraintendimento (come nel caso di “lamentoso” e
“noioso”, essendo stato inteso “lagnusu” come “colui che si lagna”). Va altresì
notato, sempre a proposito di lagnusu, l‟ampia gamma di sinonimi, che denotano una certa
capacità di variare il lessico.
Gli altri casi si presentano più lineari, pur con una
certa tendenza alla confusione tra referenti, che si manifesta per esempio nei
due casi di filina e burnia: nel primo caso, per il quale sono
nettamente superiori le risposte pertinenti (ragnatela), si registrano in una
quindicina di casi risposte dalle quali traspare la scarsa capacità di distinguere, per esempio tra la ragnatela e
ciò che la ragnatela produce (muffe, polvere); nel secondo caso, alle
diciassette risposte esatte (burnia = barattolo) si alternano risposte
approssimative (per esempio latta, giara, ciotola) che confermano come lo
scolaro sia riuscito a collocare il referente nell‟ampio
campo semantico dei contenitori per alimenti, senza però riuscire a fornire il
sinonimo più preciso.
Domanda
n° 31 per il gruppo B e n°35 per la scuola secondaria di
secondo grado: “Ognuna delle seguenti
frasi contiene UNO O PIÙ errori. Sottolineali:
# Oggi mi ho messo l‟abbito nuovo
# Ho fatto amicizzia con una ragazza che mi levo tre
anni
# Se mi riposerei mi sentirei meglio
# Mi dai
mettà del tuo panino?”
La
tabella mostra nuovamente l’interferenza fra italiano e siciliano, questa
volta, però, puntando lo sguardo verso l’influenza che il siciliano ha compiuto
sulla lingua nazionale, modificandola. Si può dunque ridimensionare l’osservazione
fatta in precedenza riguardo l’«imbastardimento» del siciliano e affermare che
ancora il siciliano presenta un robusto impianto difensivo che è riuscito ad
entrare all’interno nel sistema linguistico italiano, «imbastardendolo» a sua
volta. Il rapporto italiano/dialetto non è
dunque unidirezionale, ma comporta una interferenza continua e reciproca fra le
due lingue. Per una maggiore chiarezza classifico in ordine crescente le forme
considerate maggiormente scorrette: mettà (113/168), mi ho messo (111/168),
riposerei (104/168), che mi levo (96/168), amicizzia (94/168),
abbito (75/168). Sebbene in tutti i casi vediamo un netto prevalere di
risposte esatte, dobbiamo senza dubbio notare una diminuzione di risposte per
la forma abbito, che è quella considerata maggiormente corretta.
Continuando il
discorso precedente sulla sovrapposizione fra italiano e dialetto, analizziamo
l’ultima domanda, che è stata posta solo alla scuola secondaria. In particolare
la domanda n° 32 per il gruppo B e n°36 per la scuola secondaria
di primo grado è composta da un testo da leggere, nel quale sottolineare le
forme considerate scorrette. Il testo è il seguente:
I risultati che
emergono dalla somministrazione del test risultano estremamente complessi e
meriterebbero una analisi minuta sulla base, quantomeno, della variabile età.
Come si vede, la tabella riporta analiticamente le indicazioni di forme
considerate non corrette, dal numero massimo di occorrenze a quello più basso.
Tuttavia, è soprattutto la valutazione della diversa incidenza per classe scolastica
che può arricchire la nostra analisi.
Una preliminare
valutazione fa emergere i seguenti dati:
a) Per quanto
riguarda la competenza ortografica, si osserva che sono proprio le forme
ortograficamente scorrette ad essere più facilmente individuate (disaggio,
mettà, ecc.).
b) Alcune
forme, come “capoliato”, alquanto recentemente sostituite da “tritato”, vengono
ampiamente intese come dialettali.
c) Sono
abbastanza numerosi i casi in cui forme del tutto corrette vengono intese come
dialettali (febbre d‟arsura, bell‟e visitati, incominciò,
copiosamente).
d) Per quanto
riguarda la serie di casi di errata pronuncia, in alcuni la segnalazione è
ampia (fallegname), in altri piuttosto sporadica (polipi e accellerò).
e) Nel caso morfosintattico di era
stato partito, il campione riesce abbastanza bene ad orientarsi, pur
raggiungendo appena i sessanta; invece nel costrutto senza correre soltanto
tre risposte marcano l‟inesattezza.
f) Infine sono abbastanza
sorprendenti, e non facilmente spiegabili, le marche di dialettalità e non
correttezza che si attribuiscono a forme come “rudimentale”, “incomprensibile”,
“merluzzi”, “parcheggiare”, “rombando”, “rifornirsi”, “macellaio” e persino il
nome proprio “Nicodemo”.
I testi
I testi scritti
dagli alunni in seguito alla domanda “Qual è, secondo te, la differenza fra
lingua italiana e dialetto”, sono stati prodotti senza alcun preavviso o
consiglio né da parte mia, né da parte degli insegnanti, i quali hanno lasciato
agli alunni la massima libertà d’espressione. Statisticamente si è riscontrato
che il 4,2% non risponde o dichiara di non sapere rispondere, ed è interessante
notare che tale percentuale riguarda la scuola secondaria di secondo grado,
mentre tutti i bambini della scuola primaria e secondaria di primo grado hanno
risposto – chi più, chi meno– in modo argomentato.
1. Analisi motivazionale
L’analisi che
adesso propongo è un‟osservazione dettagliata concernente le motivazioni che
gli alunni intervistati hanno esplicitato circa la loro preferenza o il loro
rifiuto del dialetto siciliano o della lingua italiana. I criteri di
classificazione delle motivazioni che ho adoperato si basano sul lavoro svolto
dal prof. G. Ruffino nel volume “L’indialetto ha la faccia scura”.
Si possono
distinguere innanzitutto due maxitipologie di motivazioni: una prettamente
linguistica o linguistico-comunicativa, e una extralinguistica, la quale è
ulteriormente suddivisibile in motivazioni variazionali, valutative, psico-sociali.
Prendiamo nel dettaglio le
motivazioni extralinguistiche.
Motivazioni variazionali
Sono le motivazioni che riguardano
l’aspetto diacronico, diatopico, diafasico, diastratico, diamesico. La
variabile diacronica (dal greco*, (….)=attraverso,
e* (….) =tempo) è la variabile legata al tempo: l’italiano di oggi non è
uguale all’italiano parlato cinquant’anni fa; la variabile diatopica (dal greco*
(….), (….)=spazio) è legata allo spazio: l’italiano parlato a
Firenze è diverso da quello parlato a Palermo; la variabile diafasica (dal
greco* (….), e* (….)=parola, linguaggio) è legata al livello stilistico: una
lingua cambia in base alle circostanze in cui viene usata; la variabile
diastratica è legata alla condizione sociale e al livello culturale di chi
adopera la lingua; la variabile diamesica (dal greco* (…), e* (…)=mezzo), che
dipende dalla modalità di trasmissione della lingua (scritta e parlata).
Le
motivazioni variazionali che risultano più rilevanti sono sicuramente quelle
diatopiche (147 accezioni) che si ritrovano in testi di questo tipo:
l‟italiano è la lingua ufficiale della
Nazione italiana, invece, il siciliano è il dialetto regionale (della Sicilia)
[5°, gruppo B]
____________________________________________________________________________________________________________________
*Gli
asterischi indicano che si tratta di parole greche i cui caratteri non sono
riproducibili normalmente.
Questo mostra
come gran parte degli studenti consideri l’opposizione Italiano/Siciliano in
termini prevalentemente neutrali, ovvero come semplice distinzione fra lingua
nazionale e dialetto regionale. I successivi esempi, invece, si soffermano
sulla comunicazione, osservando che è possibile parlare in siciliano solo con
chi lo può capire, e dunque con una quantità di persone di gran lunga inferiore
rispetto a quella prospettata dalla lingua nazionale.
Il siciliano a
differenza dell’italiano è un dialetto esclusivamente della Sicilia. Il
siciliano è una lingua alternativa. [3°, gruppo B]
(…) penso che ognuno di
noi dovesse conoscere il siciliano (…), però non bisogna nemmeno parlare solo
ed unicamente in siciliano, perché col passare del tempo potremmo avere dei
problemi con la comunicazione interculturale [2°, gruppo B]
Secondo me la differenza
tra italiano e siciliano è che l‟italiano
è una lingua (…) compresa in qualunque regione italiana. (…) Invece il
siciliano, a differenza dell‟italiano,
è una lingua conosciuta soltanto nella regione Sicilia; esso è “difficile” da
comprendere per coloro che non sono siciliani. Infatti coloro che conoscono
soltanto questa lingua si possono ritenere “ignoranti” in quanto non sono
capaci di comunicare con gli altri. [2°, gruppo A]
Tale differenziazione può assumere aspetti microscopici:
penso
che l’italiano sia una lingua più comune a tutti gli italiani poiché il
dialetto si differenzia non solo rispetto alle regioni ma anche rispetto alla
provincia e località dove si risiede. [4°, gruppo B]
oppure, al contrario, aspetti
macroscopici:
L’Italiano
si può parlare in tutto il mondo il siciliano è un dialetto del luogo. [5°,
gruppo A]
Il
siciliano è il dialetto, l’italiano è la lingua ufficiale che tutti dovrebbero
saper parlare correttamente perché è quello che ci permette di poter comunicare
con tutti gli altri abitanti dell’italia, al di fuori della sicilia. [4°,
gruppo B]
Tali aspetti macroscopici nella
maggior parte dei casi si soffermano sulla opposizione Nord/Sud Italia,
riportando l‟attenzione
sull‟aspetto
comunicativo di cui parlavo prima, come in questi brani:
l’italiano
è una lingua a livello nazionale che può far comunicare tutte le persone per
esempio: persone del nord e del sud. Il Siciliano è una lingua regionale. [5°,
gruppo B]
(…)
il siciliano è un dialetto, ad esempio non puoi metterti a parlare in siciliano
con un milanese, perche non capirebbe. [4°, gruppo B]
oppure su elementi stigmatizzanti
tra le lingue “eleganti” del Nord Italia e quelle ‘rozze’ del
Sud, come con estrema perspicacia nota questa bambina di 11 anni:
secondo
me la differenza tra italiano e siciliano è che con l’italiano noi ci possiamo
esprimere facendoci capire correttamente in tutta Italia. Mentre con il
siciliano molte persone del nord credono che noi siamo rozzi e ignoranti, ma
non solo a noi, in Italia ci sono diversi dialetti molte volte noi del sud
critichiamo quelli del nord e viceversa. [2°, gruppo A]
Seguendo un ordine crescente, possiamo affermare che gli alunni
intervistati adducono anche motivazioni diastratiche (29 casi), diafasiche (21 casi)
seguite da quelle diacroniche (10 casi) e diamesiche (4 casi)
Le motivazioni diatratiche sono
particolarmente presenti negli alunni intervistati, come dimostrano esempi di
questo tipo:
L’italiano
è una lingua non volgare parlata da persone colte, mentre il siciliano è una
lingua rozza e volgare parlata da persone non colte. [3°, gruppo B]
E portano una bambina di 12 anni a
consigliare (nonostante una lunga premessa sull’importanza del siciliano) che
È
bene saper parlare anche un italiano corretto, perché se in futuro possiamo
incontrare persone molto note e non sappiamo parlarlo ci facciamo una brutta
figura. [2°, gruppo A]
Oppure questo bambino di 11 anni a
constatare una differenza di tipo generazionale, che non poteva mancare, quella
fra vecchi e giovani, in cui questi ultimi vengono associati alle persone di
città (unico riferimento in questi testi raccolti all’opposizione
città/campagna che era emersa abbondantemente nella ricerca del prof. Ruffino):
Il
siciliano e la lingua più usata dai nostri bisnonni ecc… e l’italiano invece e
più usato dalle persone di città o dai giovani. [2°, gruppo A]
Interessante è
poi la considerazione di un ragazzo di 15 anni che afferma, con toni altamente
spregiativi che
L’italiano
serve per conversare con le persone e il siciliano non serve a niente serve
solo a essere villani. [2°, gruppo B]
affermazione che forse rappresenta
l’esempio più negativo nei confronti del dialetto tra quelli riscontrati.
Il siciliano
difatti viene totalmente dequalificato in favore della lingua nazionale che
viene usata per parlare con persone che possono essere intese tali per intero,
differenziando così le restanti che, per lo stesso fatto di parlare dialetto,
vengono ritenute non solo inferiori, ma completamente da
escludere
dal proprio mondo di relazioni sociali (“non serve a niente”) perché villani, e
di conseguenza rozzi e ignoranti.
Per quanto
concerne le motivazioni diafasiche, possono essere divise in due categorie di
esempi.
Una prima
categoria riguarda l’opposizione famiglia/extrafamiglia –il concetto di
famiglia ovviamente si estende anche al gruppo dei ‘conoscenti’, ovvero delle
persone con cui si è instaurato un certo rapporto confidenziale, di amicizia e
che rientrano nel clima di una comunicazione distesa quale si può avere all‟interno
della famiglia propriamente detta.
Secondo
me la differenza tra italiano e siciliano è quella che l’italiano è una lingua
che si deve parlare, ad esempio, a scuola al lavoro o per compilare documenti,
mentre il siciliano è un dialetto da parlare in famiglia o con i conoscenti.
[1°, gruppo B]
(…)
penso che se si sceglie di parlarlo [il siciliano] lo si debba far solo in ambito strettamente familiare. [2°, gruppo
B]
(…) l‟italiano è una lingua che
viene usata a scuola, quando stiamo parlando con persone piuttosto importanti
ed anche quando parliamo con persone che non conosciamo bene. Per me il
siciliano è una lingua un po’ volgare,
devo dire la verità, io con persone che conosco bene parlo sempre siciliano.
[2°, gruppo A]
La seconda categoria, invece, è
rappresentata dagli esempi che riguardano l’aspetto comico e farsesco del
siciliano, come nel seguente caso:
Secondo
me la differenza è che in italiano si parla bene, invece parlare in siciliano
ci si diverte e si ride. [4°, gruppo A]
oppure esempi di questo tipo:
La
lingua siciliana (…) viene usata di solito per spiegare concetti in modo
accelerato e sono più comprensibili per chi vive nel paese d’origine.
[4°,
gruppo B]
che
puntano l’attenzione sulla maggiore espressività e immediatezza del siciliano
rispetto alla lingua nazionale. Per questo motivo possiamo far rientrare in
questa categoria anche una considerazione alquanto particolare, che si ritrova
in più bambini:
Il
siciliano (…) e una lingua sporca. Invece l’italiano e una lingua pulita perché
quando a volte ci litighiamo non diciamo brutte parole, l’italiano ci fa
riflettere, invece il siciliano non ci fa riflettere diciamo brutte parole.
[2°, gruppo A]
(…)
[il Siciliano] grida sempre. Per ogni cosa è pronta a litigare con le persone e
alza la voce, mentre gli Italiani parlano educatamente e raggionano prima di
trarre le conclusioni. [2°, gruppo A]
Ciò significa, dunque, che il
siciliano viene considerato la lingua attraverso cui poter dar sfogo ai momenti
di nervosismo, quando si oltrepassa la soglia del ‘buon vivere civile’, quando
ci si vuole privare, anche solo per un momento, delle convenzioni e far
rivivere quella parte nascosta dentro di noi spesso un po’ troppo a lungo.
Tuttavia ciò emerge dai brani in forme negative, e ci fa immaginare una scena
in cui si ritrovino un individuo che conversa sobriamente e pacatamente, e un
altro invece adirato per un qualunque motivo, che grida a squarciagola: il
primo parlerà sicuramente in italiano, il secondo in siciliano; è questo ciò
che emerge dalle considerazioni di questi ragazzi, e che mostra ancora una
forte percezione di artificiosità e di convenzionalità dell’italiano, a
differenza della lingua spontanea, seppur rozza, del siciliano.
Le motivazioni diafasiche possono
inoltre assumere un altro aspetto che tende a considerare il dialetto
prettamente in base alle circostanze:
Non
credo che il dialetto siciliano sia rozzo. Dipende dalla persona che lo parla.
Ci sono persone che parlano in modo rozzo l’italiano e persone che invece lo
parlano bene. [4° gruppo B]
Il
siciliano dipende dalle circostanze può diventare rozzo e volgare [4°, gruppo
B]
(…)
il siciliano brutto non per noi ma per i turisti (…) [1°, gruppo A]
Al
penultimo posto della classifica troviamo dunque le motivazioni diacroniche.
Anche queste assumono due aspetti. Il primo è storico-evolutivo, quindi senza
considerazioni negative:
Oggi
il siciliano è un dialetto anche se anticamente era considerato come una
lingua. [3°, gruppo B]
L’italiano
secondo me è “il figlio” della lingua siciliano. [3°, gruppo B]
L‟italiano (…) è una lingua
evoluta dal latino. Il siciliano (…) l’hanno inventato i paesani. [2°, gruppo
A]
Prima
normalmente in tutta la sicilia si parlava il siciliano. ormai si parla l‟Italiano. [5°, gruppo A]
L’italiano
è la lingua creata (ufficialmente) da Dante intorno al 300 (…).
[5°,
gruppo B]
L’altro invece si sofferma sulla
opposizione modernità/antichità, coinvolgendo anche l’aspetto diastratico:
Il
siciliano è una lingua che parlano le persone più anziane cioè i nonni, invece l’italiano
è una lingua più semplice e più moderna che parlano i genitori. [4°, gruppo A]
Oppure quello valutativo,
associando nella maggior parte dei casi il termine antico con l‟aggettivo
rozzo o simili:
L’italiano
è più fine e raffinato invece il siciliano è rozzo e antico.[3°, gruppo A]
La variabile diamesica, infine, è
quella meno presa in considerazione del campione di studenti intervistati.
Questa si sofferma, come già visto in qualche esempio, sulla quasi esclusiva
pertinenza dell’italiano nella scrittura e su una maggiore espressività orale
del siciliano rispetto all’italiano:
Per me la differenza è che l’italiano e una
lingua che si deve parlare correttamente e scrivere correttamente (…). Il
siciliano (…) è la [lingua] più bella che hanno inventato perché da una
espressione di parlare a chiunque come vuole. [2°, gruppo A]
Motivazioni valutative
Riguardano
opinioni di gusto individuale e sono in assoluto le più adottate dagli studenti
esaminati, raggiungendo quasi la totalità dei casi. Il termine valutativo
include infatti molte altre sfaccettature, in primis quella fra qualità e
quantità. La quantità viene espressa dai ragazzi sotto forma di opposizione più parlata/meno parlata o più
diffusa/meno diffusa.
La
differenza tra italiano e siciliano è che l’italiano è una lingua più parlata e
più formale, mentre il siciliano è una lingua meno parlata e un po‟ rozza. [1°, gruppo B]
La quale in moltissimi casi si
ricollega alle motivazioni di tipo diatopico:
L’italiano
è una lingua parlata in tutta Italia mentre il Siciliano è parlato soltanto in
Sicilia [1°, gruppo B]
L’italiano
l‟ho capiscono tutti invece il
siciliano siccome è un dialetto non lo capiscono tutti [5°, gruppo A]
La
lingua Italiana e la più usata per comunicare, perche è una lingua più diffusa
e la conosciamo tutti. [5°, gruppo A]
Per quanto riguarda invece l’aspetto
qualitativo della valutazione,
questo può essere rappresentato come semplice gusto (mi piace/non mi piace oppure bello/brutto),
Il
siciliano è molto bello se saputo parlare [3°, gruppo B]
Per
me la lingua più bella è il siciliano. [2°, gruppo A]
Be per italiano sono d’accordo si mi piace,
il siciliano non tanto, l’italiano è più sistemato invece il siciliano no.
Nella lingua parlata qua in sicilia non è sistemato non mi piace [1°, gruppo A]
come opposizione raffinato/rozzo
L’italiano
è un linguaggio più raffinato, mentre il siciliano essendo un dialetto è
volgare e rozzo. [3°, gruppo B]
Il
siciliano è rozzo, mentre l’italiano anche nel parlare è più fino e ha un suono
più dolce. [1°, gruppo B]
oppure come opposizione educato/ineducato
Secondo
me la differenza tra il siciliano e l’italiano è che parlare in siciliano non è
educato si deve parlare in italiano se si vuole essere educati [4°, gruppo A]
o ancora si ritrovano facile/difficile, complicato/meno
complicato, ordinato/disordinato
Per
me il dialetto siciliano e più facile del Italiano [2°, gruppo A]
La
differenza dell‟Italiano
e il siciliano e che l‟italiano
e più facile da comprendere e il siciliano e complicato (…) e meno comprensivo
[1°, gruppo A]
Secondo
me è più bello il siciliano perché è meno complesso mentre l‟italiano e più complesso con
verbi pronomi ecc. [2°, gruppo A]
La
differenza tra siciliano è italiano è che l‟italiano
è più sistemato è il siciliano è più disordinato [4°, gruppo A]
Motivazioni psico-sociali
Le motivazioni
psico-sociali che sono state riscontrate si possono suddividere in tre
sottocategorie: motivazioni affettive (il parlante prova un sentimento di
affezione verso la lingua), etnoidentitarie (la lingua è vista come emblema
della propria identità etnica) o stigmatizzanti (la lingua è considerata un
marchio).
Se si vogliono considerare come stigmatizzanti le valutazioni di
normale/strano e corretto/scorretto, sicuramente questa categoria è la più
rappresentata dagli studenti intervistati (26 casi), in cui il polo positivo
(normale, corretto) viene riferito all‟italiano e mai al dialetto.
L‟accezione
‘normale’ è particolarmente significativa perché mostra la piena concezione da
parte degli alunni della lingua ufficiale come la lingua che è necessario
sapere e con cui bisogna parlare quando si ha a che fare con persone che non
fanno parte della cerchia dei rapporti quotidiani, o con persone più elevate
culturalmente o socialmente. L‟opposizione normale/strano –e poi ovviamente anche
quella corretto/scorretto– si inserisce spesso all‟interno di un
rapporto spesso grammaticale, perché, in fondo, l‟italiano si apprende a scuola
e quindi ha una propria grammatica, a differenza del siciliano con cui ciascuno
può parlare “come vuole”; perciò, se pur in molti casi si ritrova il termine
positivo affiancato ad aggettivi altrettanto positivi, ciò può avvenire (in
casi però tutto sommato minori) anche per il secondo termine, in particolare
per ‘strano’. Questo non esclude quanto
detto sopra, poiché gli aggettivi negativi non sono mai riferiti al polo
positivo.
Secondo
me la differenza tra l‟italiano
e il siciliano è che parlare in italiano è normale e parlare in siciliano si
usano molto le doppie [4°, gruppo A]
Il
siciliano ha delle parole molto strane [1°, gruppo A]
(…)
dobbiamo sottolineare che il siciliano non è la lingua corretta con cui noi
dovremmo parlare, è l‟italiano
la lingua corretta con cui dovremmo parlare, perché l‟italiano
è la lingua ufficiale dell‟Italia
e siccome noi facciamo parte dell‟Italia,
dovremmo parlare l‟italiano.
In conclusione la differenza tra il siciliano e l‟italiano
è lo storpiamento della lingua italiana. [2°, gruppo A]
Secondo
me la differenza tra l‟italiano
e il siciliano e che in siciliano si parla più difettosi e con errori in
italiano si parla senza errori e anche meglio [1°, gruppo A]
Le motivazioni affettive ed
etnoidentitarie in molti casi tendono a combaciare:
Non
so spiegare il perché, ma so che mi piace, forse perché è la lingua del mio
paese. [2°, gruppo A]
(…)
Io però personalmente parlo sempre siciliano, perché per me è la lingua della
mia Patria e sono fiero di parlarla [2°, gruppo A]
Il
siciliano non si dovrebbe parlare però se qualche parola scappa ogni tanto, non
fa male, infondo è sempre il nostro dialetto che appartiene alle nostre tradizioni
siciliane [2°, gruppo A]
Anche se, ovviamente, in altri si
distinguono nettamente. Troviamo difatti delle motivazioni prettamente affettive,
come nel seguente esempio:
L‟italiano per la gente è una
lingua più pulita rispetto al siciliano. per me non molto, in famiglia la
parlano tutti e sono stata abituata fin da piccola a parlare il dialetto
siciliano, che per me è fantastico. [1°, gruppo A]
e motivazioni etnoidentitarie in questi altri:
Oggi
il siciliano è fonte di riconoscimento la sicilia viene riconosciuta grazie a
questa lingua [3°, gruppo B]
Secondo
me è giusto parlare sia Siciliano che italiano. L‟italiano
è la nostra lingua patria ed è giusto parlarla correttamente (…) ci serve per
vivere per scrivere e per leggere. (…) il siciliano è il nostro dialetto che ci
serve anche per parlare perché conserva le nostre tradizioni, la nostra storia.
Perché il Siciliano è importante perché è la lingua dei nostri antenati
siciliani, quindi è giusto parlare il siciliano perché è bello conoscere la
nostra provenienza e la nostra storia [2°, gruppo A]
Il
siciliano è una bella lingua perché è la nostra storia e la nostra origine. Se
noi, i nostri genitori, i nostri nonni non tramandassimo questa lingua, molti
documenti, molte poesie e molti pensieri scritti in questa lingua non si
saprebbero leggere e una parte della nostra storia andrebbe perduta. Secondo me
parlare in siciliano ci aiuta ad avvicinarci alla nostra terra e alle persone
che sanno parlare questa lingua [2°, gruppo A]
2. Spie linguistiche
Potrebbe essere
interessante distinguere in negativo, positivo e neutro l’atteggiamento
degli intervistati attraverso le definizioni che hanno dato di “italiano” e
“siciliano”. I termini sono stati estrapolati comparando le risposte alla
domanda singola “Qual è, secondo te, la differenza fra italiano e siciliano?”
con quelle riportate dalla domanda “Preferisci parlare in siciliano o in
italiano? Perché?”.
Presento così
due tipologie di tabelle in cui sono mostrate le risposte più rappresentative
(da 3 in su). Per la prima tipologia ho usato un metodo “grammaticale” di
suddivisione, distinguendo sostantivi (Tab.1), frasi (Tab.2) e aggettivi
(Tab.3); la seconda tipologia di tabelle suddivide invece i termini in base al
grado negativo, positivo o neutro: la tabella 4 riunirà le
connotazioni più o meno negative, la tabella 5 quelle neutrali e la tabella 6
le connotazioni positive.
Prendendo in considerazione le tabelle in base all‟ordine di esposizione,osservando la Tab. 1, dedicata ai sostantivi, notiamo subito che, sia per l'italiano sia per il dialetto, si usa la definizione di “lingua madre”, seppur con una lieve maggioranza in favore dell‟italiano. Questo dato, associato al fatto che per l'italiano nessuno degli intervistati considera l'aspetto etno-identitario, è un elemento importante che mi concede la possibilità di affermare che il dialetto è visto come un elemento importante di identità, ricollegata al luogo di nascita e di crescita dei ragazzi, con tutto il bagaglio culturale che ad esso è legato.
Riguardo agli
aggettivi, si confermano le opposizioni che erano già presenti nel lavoro del
prof. Ruffino, quali fine/rozzo, facile/difficile, raffinato/volgare, educato/maleducato,
corretto/scorretto e si nota una netta prevalenza dell’opposizione “italiano
comune a tutte le regioni d’Italia/dialetto proprio della Sicilia”; per molti
studenti terrasinesi, dunque, la differenza più importante è di carattere
pratico e oggettivo, per quanto la definizione di “proprio della Sicilia” nella
maggior parte dei casi assuma una venatura negativa, accentuando la limitatezza
spaziale del dialetto, seppur – come abbiamo visto – in molti altri casi questo
è un carattere in più per la costruzione del sano e appassionato sentimento
regionale. E altrettanto si evince dalla Tab. 3, in cui si nota che le
forme verbali più usate per indicare la propensione all‟italiano sono
legate alla sfera prettamente comunicativa del “sapere parlare/farsi capire”,
escludendo fattori negativi intrinseci al dialetto.
Se consideriamo
la seconda tipologia di tabelle proposte, ciò che colpisce immediatamente l’attenzione
guardando la Tab.4 è la totale assenza di definizioni negative associate
all’italiano e, in corrispondenza, la scarsa presenza di valutazioni positive
(tab. 6) associate al dialetto. Nonostante ciò, però, guardando la Tab.6,
si nota che sono state date alcune risposte uguali sia per il dialetto sia per
l‟italiano; tra
queste però occorre distinguere le risposte con scarsa differenza del numero di
occorrenze (“mi piace”, “bello”) e quelle con una maggiore propensione verso l‟italiano (“facile”, “mi so esprimere
meglio”).
Conclusioni
Alla fine degli
anni Settanta risalgono alcuni sondaggi volti ad analizzare il problema della
valutazione e dell‟uso di lingua e dialetto nei bambini e negli adolescenti
della nostra regione. Credo che sia interessante confrontare tali risultati con
quelli ottenuti dalla mia analisi. Come riferisce G. Ruffino (2006) da questi
sondaggi emergeva che:
a) Il numero
dei dialettofobi è inversamente proporzionale al capitale culturale.
b) I
dialettofobi danno spiegazioni extralinguistiche riguardo alla loro avversione
per il dialetto.
c) Si distingue tra dialettofobia
rinvenuta negli italofoni e atteggiamento negativo presente nei dialettofoni:
per i primi la considerazione sul siciliano è trasmessa da motivazioni che
alludono al carattere volgare del siciliano; per i secondi, invece, tale
atteggiamento è veicolato da motivazioni funzionali, in quanto – avvertendo i
limiti della propria condizione a livello sociale– la dialettofobia assume
ragioni pragmatiche.
Dalla mia analisi parallelamente risulta che, per
quanto riguarda il primo punto, la situazione si è capovolta: la dialettofobia
è oggi direttamente proporzionale al capitale culturale. Per affermare ciò ho
considerato dotate di un capitale culturale alto quelle classi in cui la
percentuale di entrambi i genitori che hanno conseguito il diploma di scuola
secondaria di secondo grado e/o la laurea sia superiore al 50%. Ho poi
calcolato la percentuale dei dialettofobi all‟interno delle classi tramite la domanda “Vorresti
studiare il siciliano a scuola?”, la quale ritengo che esprima bene la
considerazione, pur in alcuni casi inconscia, che i ragazzi hanno del dialetto,
ritenendolo degno o meno di essere portato al rango di materia di studio.
Entrando nel dettaglio, si vede che a un capitale culturale compreso tra il 42% e il 50% corrisponde un tasso di dialettofobia che oscilla dal 5% al 28%; a un capitale culturale compreso tra il 53% e l‟80% corrisponde un tasso di dialettofobia che oscilla tra il 32% e il 67%.
Dati, questi, che mi fanno riflettere e mi legittimano a spendere altre due righe in merito. Che cosa vuol dire che a un capitale culturale alto corrisponde un tasso di dialettofobia basso? Che cosa vuol dire il contrario? Ciò significa che i ragazzi inseriti in un contesto familiare relativamente colto, negli anni ‟80 non dimostravano avere considerazioni negative sul dialetto e assumevano atteggiamenti favorevoli alla diffusione di questo, con un rapporto dunque che può essere definito “pacifico”. Oggi invece è come se si fossero creati due atteggiamenti assai diversi, con incidenze sui rapporti sociali dei filodialettali rispetto agli antidialettali e viceversa; se poi in particolare i filodialettali sono prevalentemente dialettofoni e gli antidialettali prevalentemente italofoni si avranno chiaramente fenomeni di esclusione da una parte e agglomerazione tra simili dall‟altra.
Dati, questi, che mi fanno riflettere e mi legittimano a spendere altre due righe in merito. Che cosa vuol dire che a un capitale culturale alto corrisponde un tasso di dialettofobia basso? Che cosa vuol dire il contrario? Ciò significa che i ragazzi inseriti in un contesto familiare relativamente colto, negli anni ‟80 non dimostravano avere considerazioni negative sul dialetto e assumevano atteggiamenti favorevoli alla diffusione di questo, con un rapporto dunque che può essere definito “pacifico”. Oggi invece è come se si fossero creati due atteggiamenti assai diversi, con incidenze sui rapporti sociali dei filodialettali rispetto agli antidialettali e viceversa; se poi in particolare i filodialettali sono prevalentemente dialettofoni e gli antidialettali prevalentemente italofoni si avranno chiaramente fenomeni di esclusione da una parte e agglomerazione tra simili dall‟altra.
Analizzando il secondo punto, le spiegazioni riguardo l‟avversione dei ragazzi verso il dialetto sono motivate in primo luogo da fattori pratici, come “non lo so parlare”, “non tutti lo capiscono” o di gusto, come “non mi piace” (addirittura in un caso si ritrova “Io lo odio”). Tuttavia è significativo notare come tali spiegazioni possono entrare anche nell‟ambito sociale degli alunni, come quando essi dichiarano di vergognarsi o prospettano che verrebbero presi in giro se parlassero il dialetto. Potremmo dunque notare che, sebbene in qualche raro caso i dialettofobi adducano spiegazioni prettamente linguistiche (ad esempio “Ha parole difficili”), nella stragrande maggioranza dei casi il risultato ottenuto dall‟analisi precedente viene confermato: i dialettofobi adducono motivazioni extralinguistiche per spiegare la loro avversione per il dialetto.
Il terzo argomento che si presta alla nostra comparazione riguarda la differenza fra italofoni e dialettofoni riguardo alla propria repulsione del vernacolo.
L'analisi dichiarava che gli italofoni fanno riferimento al carattere volgare del siciliano, i dialettofoni, invece, a motivazioni funzionali. Dobbiamo innanzi tutto notare che tutti gli intervistati che si dichiarano dialettofoni contemporaneamente esaltano il dialetto nei modi più disparati: lo ritengono divertente, efficace per rendere i concetti, più bello, più facile e addirittura una bambina dirà “Mi sento più realizzata”. Di conseguenza non è possibile riscontrare dei dati che affermino la coincidenza fra dialettofobia e dialettofonia, e di conseguenza analizzare questo aspetto. Per quanto riguarda gli italofoni, possiamo invece confermare i risultati della precedente analisi, poiché la maggior parte dei ragazzi che preferiscono parlare in italiano scelgono questa lingua proprio per il suo carattere raffinato ed elegante e per il suono più dolce, contrapponendola al suono più “duro” del siciliano e al suo carattere più rozzo rispetto alla lingua ufficiale.
Tutto sommato, dunque, la situazione socio-linguistica nel nostro territorio è cambiata ben poco in questi quarant‟anni, osservando ancora la tenace perseveranza dei „primordiali‟ stereotipi linguistici che, purtroppo, stentano ad allontanarsi dalla mentalità della nostra società. L‟unica alternativa possibile sarebbe allora un intervento governativo e amministrativo portato avanti da professionisti e da esperti nel settore e soprattutto che parta dal basso, dalle famiglie, dagli alunni e dagli insegnanti, affinché, creando in questo modo un‟opinione pubblica sensibile alla problematica, inizi un‟iperbole volta non a “modernizzare” il dialetto, ma a diffondere la consapevolezza della sua importanza storica. I dialetti non sono stati in isolamento per tutto questo tempo, ma sono penetrati nella lingua, arricchendola e irrobustendola, e ugualmente la lingua ha attraversato i dialetti, rigenerandoli e trasfigurandoli: lo scambio reciproco fra italiano e dialetti è insito nella nostra tradizione nazionale. Acquistando una tale sensibilità, si potrà così fruire di indiscutibili benefici sia su un piano prettamente linguistico, in quanto l‟analisi comparativa fra italiano e dialetto potrà favorire lo sviluppo della competenza metalinguistica dei parlanti, sia su un piano più genericamente culturale, favorendo la valorizzazione di un patrimonio linguistico-etnografico altrimenti destinato a svanire.
La lingua è un gran bel gioco interattivo se si conoscono le regole che rendono il gioco utile e fruibile per lo sviluppo della propria identità sociale e culturale. Ma un tale gioco, un tale gusto per la lingua italiana può essere creato solo dopo aver trovato il giusto equilibrio tra una lingua ingessata ed eminentemente scolastica e una lingua d‟uso, corretta sì, ma viva, in cui il dialetto abbia un ruolo di primo piano.
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Appendici
A.
Risposte alla domanda Qual
è, secondo te, la differenza tra italiano e siciliano?
in trascrizione
fedele all’originale
SCUOLA PRIMARIA
(circolo didattico
Don Milani)
4°
Età – indirizzo – sesso
9 anni – via Rosario Lo Duca [La Duca]– femmina
La differenza tra italiano e siciliano è che l‟italiano
e più educato e raffinato mentre il siciliano e più da parlare in paese con i
conoscente 9 anni – via Carlo Alberto dalla Ghiesa [Chiesa] – maschio Secondo me la differenza tra l‟Italiano e il Siciliano è che
il Siciliano è una lingua che parlano le persone più anziane cioè i nonni
invece l‟italiano
è una lingua più semplice e più moderna che parlano i genitori.
Secondo me
parlare in italiano è più educato si parla meglio ed è più chiaro,invece in
siciliano è meno educato anche se fa ridere.
9
anni – via Cala Rossa [Calarossa]– maschio
Secondo
me la differenza tra il siciliano è l‟italiano è che l‟italiano è una lingua raffinata e il siciliano è una
lingua meno fine
9
anni – via Carlo Alberto dalla chiesa – maschio
Secondo
me la differenza tra il siciliano e l‟italiano è che parlare in siciliano non è educato si
deve parlare in italiano se si vuole essere educati
9
anni – via contrada agli Androni – femmina
Secondo
me la differenza tra l‟italiano è il siciliano è che l‟italiano si parla in un
modo raffinato mentre il siciliano è un linguaggio non educato
9
anni – via dell„ ulivo – maschio
La
differenza tra il siciliano e l‟italiano e che in italiano si parla inmodo più
ordinato invece il siciliano è meno raffinato
8
anni – via Tevere – femmina
Secondo
me parlare in siciliano è molto ineducato, invece parlare in italiano è educato
ad esempio se ci sono abitanti di Milano non sanno che significano le parole in
siciliano
9
anni - ventimiglia – femmina
Secondo
La me differenza è che in italiano si parla bene,invece parlare in siciliano ci
si diverte e si ride
9 anni – via delle ortensie –
femmina
Per me la differenza tra siciliano e italiano è che il siciliano è
molto diverso, si parla male ed è complicato, mentre l‟italiano è
più ordinato ed è meno complicato
9 anni – Via cala rosa
[Calarossa]– femmina
Secondo me la differenza tra l‟italiano e il siciliano è che parlare in
italiano è normale e parlare in siciliano si usano molto le doppie
9 anni – Via Giuseppe verdi –
femmina
La differenza tra l‟italiano è il siciliano e che l‟italiano è
educato,mentre il siciliano non è tanto raffinato come modi di parlare
8 anni – Via Partinico –
maschio
La differenza tra siciliano è italiano è che l‟italiano è
più sistemato è il siciliano è più disordinato
9 anni – Via Perez – maschio
Perme la differenza tra l‟italiano e il siciliano e che l‟italiano è
educato e più sistemato Invece il
siciliano è maleducato
8 anni – Via jose maria escriva
[Josemaria Escrivà]– femmina
Per me la differenza tra il siciliano e
l‟italiano è
che il siciliano è un dialetto,mentre l‟italiano è educato e raffinato.
9 anni – Via Giuseppe Verdi –
maschio
Secondo me la differenza fra l‟ italiano e il siciliano è che si parla
diversamente, però con un significato uguale
9 anni – via delle Ortensie –
femmina
Secondo me la differenza tra siciliano e italiano è che se parli in
italiano tutti ci possono parlare in italiano invece se parli in siciliano e un
altro compagno parla in italiano non ti capisce,Però io penso che a poco a poco
si impara a parlare sia in italiano sia in siciliano
5°
10 anni – Via dante aligheri
[Dante Alighieri]– femmina
Secondo me la differenza fra l‟italiano e il siciliano è che l‟italiano si
capisce meglio L‟italiano è la lingua nazionale dell‟italia e il
siciliano e il dialetto della sicilia
9 anni – Via Dante Alighieri –
maschio
Secondo me la lingua siciliana ha qualche differenza rispetto a quella
Italiana perche è antica però molto simile a quella Italiana,e che deriva dal
latino. Il siciliano per noi Italiani è come una seconda lingua mentre l‟Italiano è la
lingua ufficiale dell‟Italia,di san marino e della citta del vaticano. La
lingua Italiana e la più usata per comunicare, perche è una lingua più diffusa
e la conosciamo tutti.
10 anni - ? – femmina
L‟italiano lo sanno parlare in tutta l‟Italia invece
il siciliano in delle regioni.
10
anni – Via calarossa – femmina
L‟italiano è la lingua nazionale, cioè parlato in tutto
lo stato italiano. Poi ogni regione ha un suo dialetto che è una lingua vera e
propria. In Sicilia abbiamo il siciliano,lingua che si è formata nel corso dei
secoli
10
anni – Via Luigi Einaudi – femmina
L‟italiano è la lingua nazionale e il siciliano è un
dialetto
10
anni – VIA CAP SIGNIURUZZO – femmina
Per me la differenza tra il siciliano e l italiano è
che l‟Italiano l‟ho capiscono
tutti invece il siciliano siccome è in dialetto non lo capiscono tutti.
10
anni – VIA PARTINICO – femmina
L‟italiano è una lingua nazionale e il siciliano è un
dialetto o lingua madre
10
anni – C da Piano cavolo [c.da Piano Cavoli]– maschio
L‟italiano è una lingua madre il siciliano e lingua del
dialetto
10
anni – Via pietro galati – maschio
L‟Italiano perche e una lingua che parlano tutta L‟italia e il
siciliano perche e una lingua che parlano soltanto i siciliani.
10
anni – contrada cipollazzo [via Cipollazzo]– femmina
L‟italiano si parla in tutta l‟Italia invece
il siciliano solo in alcune zone
10
anni – via carlo alberto dalla chiesa – maschio
L’italiano è una lingua che parla tutta l Italia
invece il siciliano è un dialetto proprio della sicilia perche ogni regione ha
un proprio dialetto
10
anni – contrada bagliuso TERRASINI – maschio
L‟Italiano è la lingua nazionale parlata in tutta l italia
il siciliano è invece un dialetto parlato in sicilia con molta differenze tra
un paese e un‟ altro.
10
anni - via Giovanni Verga - femmina
L‟Italiano si può parlare in tutto il mondo il siciliano
è un dialetto del luogo
10
anni – Via Cala Rossa [Calarossa]– maschio
L‟Italiano è la lingua della nostra nazione ed è parlato
in tutta Italia. Il siciliano è il dialetto tipico della Sicilia e lo capisce
solo un altro siciliano ogni regione ha il suo dialetto.
10
anni – via giovanni meli – maschio
Sono due lingue diverse con caratteristiche diverse e
anche la grammatica è diversa secondo me il siciliano è più difficile della
lingua italiana
10
anni – C/piano di terrasini [contrada Piano Torre]– femmina
Italiano l‟o parla tutta L‟Italia invece
il siciliano lo parla solo la sicilia.
10
anni - ? – maschio
L‟Italiano è la lingua nazionale cioè
parlata in tutta lo stato italiano. Poi ogni regione ha un suo dialetto che è
una lingua vera e propria. In sicilia abbiamo il siciliano,lingua che si è
formato nel corso dei secoli.
9 anni – Via Ruffino – maschio
L‟Italiano è la
lingua che si parla in tutto il territorio nazionale in tutte le regionali ed è
quindi la lingua che ci permette di capire e farci capire da tutti gli
italiani. Il siciliano invece è il dialetto che si usa in sicilia prima
normalmente in tutta la sicilia si parlava il siciliano. Ormai si parla L‟Italiano.
11 anni – LUIGI EINAUDI –
maschio
L‟Italiano e
parlato in tutta Italia. Il siciliano solo in sicilia,esistono tanti tipi di siciliano,ogni
regione ne parla uno talvolta diverso da tutti gli altri talvolta simile ad
altri ma non comprensibile da tutti.
10 anni – contrada agli androni
– maschio
Secondo me la differenza tra Italiano e siciliano è che il siciliano è
il dialetto della sicilia,invece l‟Italiano e la lingua nazionale dell‟Italia
SCUOLA SUPERIORE DI PRIMO GRADO
(Istituto Comprensivo papa Giovanni XXIII)
1°
Età – zona di residenza – sesso
11 anni – periferia (campagna)
– maschio
Secondo me, il siciliano,è una lingua
particolare parlata e “fondata” da noi siciliani. L‟Italiano,invece,è
una lingua parlata da tutto il popolo italiano.
12 anni – Terrasini Periferia – maschio
La differensa dell‟Italiano e il siciliano e che L‟Italiano e più facile da comprendere e il siciliano e complicato. L‟Italiano è più pulito nel modo di parlare perche il siciliano e meno comprensivo.
La differensa dell‟Italiano e il siciliano e che L‟Italiano e più facile da comprendere e il siciliano e complicato. L‟Italiano è più pulito nel modo di parlare perche il siciliano e meno comprensivo.
11 anni – Contrada Paternella,verso citta del mare – maschio
L‟Italiano è una lingua che si parla in tutta l‟Italia. Invece il siciliano è un dialetto di una regione in questo caso la Sicilia,ma ci sono anche altri dialetti in altre regioni come il Dialetto Toscano. Come il calabrese.
L‟Italiano è una lingua che si parla in tutta l‟Italia. Invece il siciliano è un dialetto di una regione in questo caso la Sicilia,ma ci sono anche altri dialetti in altre regioni come il Dialetto Toscano. Come il calabrese.
11 anni – Via Federico de Roberto Cinisi Periferia – femmina
L‟italiano è una lingua che si parla in tutta l‟italia.Il siciliano è una lingua che si parla solo in una regione in questo caso la sicilia.
L‟italiano è una lingua che si parla in tutta l‟italia.Il siciliano è una lingua che si parla solo in una regione in questo caso la sicilia.
11 anni – Terrasini viale delle magnolie – maschio
La differenza tra la lingua italiana o quella siciliana si parla in diversi modi di parlare. In italiano,uguale alla città d‟Italia e in siciliano in dialetto.
La differenza tra la lingua italiana o quella siciliana si parla in diversi modi di parlare. In italiano,uguale alla città d‟Italia e in siciliano in dialetto.
11 anni – Periferia C/da Paternella – viale Adriatico – femmina
Secondo me la differenza fra l‟italiano e il siciliano è che una lingua un pò più volgare dell‟italiano. L‟italiano è parlato in tutta italia mentre il siciliano solo in Sicilia.
Secondo me la differenza fra l‟italiano e il siciliano è che una lingua un pò più volgare dell‟italiano. L‟italiano è parlato in tutta italia mentre il siciliano solo in Sicilia.
11 anni – Terrasini(viale delle magnolie) – maschio
Secondo me,italiano si parla in tutto il mondo ed è un lingua parlata. Il siciliano è una lingua dialetta.
Secondo me,italiano si parla in tutto il mondo ed è un lingua parlata. Il siciliano è una lingua dialetta.
11 anni – Terrasini Via papa giovanni XXIII vicino la piazza in via Palermo – maschio
Il siciliano non è molto diverso dall‟italiano infatti molte parole sono uguali ma anche parole completamente diverse ma di significato uguale come la parola “racina” che significa “uva” e invece uovo si dice sempre uovo
Il siciliano non è molto diverso dall‟italiano infatti molte parole sono uguali ma anche parole completamente diverse ma di significato uguale come la parola “racina” che significa “uva” e invece uovo si dice sempre uovo
11 anni – Terrasini Periferia – femmina
L‟italiano per la gente è una lingua più pulita rispetto al sicilano. Per me non molto, in famiglia la parlano tutti e sono stata abituata fin da piccola a parlare il dialetto sicilano,che per me è fantastico. Però a scuola mi trattengo. Mamma mi dice a casa si,ma a scuola no,però qualche parolina scappa sempre.
L‟italiano per la gente è una lingua più pulita rispetto al sicilano. Per me non molto, in famiglia la parlano tutti e sono stata abituata fin da piccola a parlare il dialetto sicilano,che per me è fantastico. Però a scuola mi trattengo. Mamma mi dice a casa si,ma a scuola no,però qualche parolina scappa sempre.
11 anni – terrasini vicino al mare – femmina
Be per italiano sono daccordo si mi piace,il siciliano non tanto,l‟italiano è più sistemato invece il sicliano no Nella lingua parlata quà in sicilia non è sistemato non mi piace
Be per italiano sono daccordo si mi piace,il siciliano non tanto,l‟italiano è più sistemato invece il sicliano no Nella lingua parlata quà in sicilia non è sistemato non mi piace
11 anni – Cinisi.Periferia – femmina
L‟italiano per me è una lingua chiara per tutti,comprensibile. Per me è cosi perché io parlo sempre italiano. Il siciliano non penso che è molto chiaro per far capire tutti quello che vogliamo dire e per esprimerci.
L‟italiano per me è una lingua chiara per tutti,comprensibile. Per me è cosi perché io parlo sempre italiano. Il siciliano non penso che è molto chiaro per far capire tutti quello che vogliamo dire e per esprimerci.
11 anni – Terrasini - zona centrale – femmina
Il siciliano secondo me è più che altro un dialetto della nostra Sicilia grande e non proprio una lingua. L‟italiano si può parlare in tutta l‟Italia e anche qui e l‟Italiano è molto sistemato.
Il siciliano secondo me è più che altro un dialetto della nostra Sicilia grande e non proprio una lingua. L‟italiano si può parlare in tutta l‟Italia e anche qui e l‟Italiano è molto sistemato.
11 anni – zona marina Via giacomo matteotti – maschio
Per me la differenza fra Italiano e siciliano e molta,il siciliano Brutto non per noi ma per i turisti invece si l‟ Italiano è più raffinato e si capisce meglio,ma ci sono altri dialetti delle altre regioni.
Per me la differenza fra Italiano e siciliano e molta,il siciliano Brutto non per noi ma per i turisti invece si l‟ Italiano è più raffinato e si capisce meglio,ma ci sono altri dialetti delle altre regioni.
10 anni – CINISI PASSAGGIO AL LIVELLO VIA CDA PIANO CAVOLI – maschio
La differenza tra un siciliano e un‟ italiano e che il siciliano a tradizioni e dialetti invece l‟italiano non è ha dialetti,Il siciliano si parla in Sicilia,l‟italiano in tutta l‟italia. Qua in sicilia abbiamo un sacco di tradizioni tipo la festa degli schietti,santa Rosalia,i cannoli,le sfinge di san Giuseppe ecc. Invece in italia c‟ è il papa,e le cose politiche. Tutte queste cosa differenzia l‟italia e la Sicilia.
La differenza tra un siciliano e un‟ italiano e che il siciliano a tradizioni e dialetti invece l‟italiano non è ha dialetti,Il siciliano si parla in Sicilia,l‟italiano in tutta l‟italia. Qua in sicilia abbiamo un sacco di tradizioni tipo la festa degli schietti,santa Rosalia,i cannoli,le sfinge di san Giuseppe ecc. Invece in italia c‟ è il papa,e le cose politiche. Tutte queste cosa differenzia l‟italia e la Sicilia.
10 anni – Terrasini sul lungo mare, c.a. dalla chiesa – femmina
Secondo me la differenza tra italiano e siciliano è: l‟italiano è una lingua molto sofisticata, si capisce quello che si dice, ed è molto semplice ai bambini. Invece il siciliano ha delle parole molto strane,ed viene usata soprattutto dai grandi e viene sempre usata qui dove abitiamo noi
Secondo me la differenza tra italiano e siciliano è: l‟italiano è una lingua molto sofisticata, si capisce quello che si dice, ed è molto semplice ai bambini. Invece il siciliano ha delle parole molto strane,ed viene usata soprattutto dai grandi e viene sempre usata qui dove abitiamo noi
14 anni – via partinico – maschio
La differenza tra il Siciliano e l‟Italiano e che l‟Italiano si parla In tutta Italia e più conosciuto il Siciliano e meno conosciuto e ci sono meno errori
La differenza tra il Siciliano e l‟Italiano e che l‟Italiano si parla In tutta Italia e più conosciuto il Siciliano e meno conosciuto e ci sono meno errori
10 anni – Terrasini, sul lungo mare Via Calarossa – femmina
Secondo me la differenza tra italiano e siciliano è quella che italiano è una lingua normale e sofisticata, ma pure semplice. Invece il siciliano è una lingua per lo più che usano i grandi ed è un pò più complicatina di quella italiana che è tanto usata nel nostro territorio.
Secondo me la differenza tra italiano e siciliano è quella che italiano è una lingua normale e sofisticata, ma pure semplice. Invece il siciliano è una lingua per lo più che usano i grandi ed è un pò più complicatina di quella italiana che è tanto usata nel nostro territorio.
11 anni – Cinisi, Via pio la torre traversa – maschio
Secondo me la differenza tra l‟italiano e il siciliano e che in siciliano si parla più difettosi e con errori in italiano si parla senza errori e anche meglio
Secondo me la differenza tra l‟italiano e il siciliano e che in siciliano si parla più difettosi e con errori in italiano si parla senza errori e anche meglio
2°
12 anni – Terrasini (Pa) Vicolo Oreto – maschio
Secondo me è giusto parlare sia Siciliano che italiano. L‟italiano è la nostra lingua patria ed è giusto parlarla correttamente, è la lingua che studiamo, che parliano e che ci serve per vivere per scrivere e per leggere. Senza l‟italiano saremmo analfabeti e ignoranti. Quindi è giusto studiarla e parlarla il siciliano è il nostro dialetto che si deve anche parlare perché conserva le nostre tradizioni, la nostra storia. Perché il Siciliano è importante perché è la lingua dei nostri antenati siciliani, quindi è giusto parlare il siciliano perché è bello conoscere la nostra provenienza e la nostra storia.
Secondo me è giusto parlare sia Siciliano che italiano. L‟italiano è la nostra lingua patria ed è giusto parlarla correttamente, è la lingua che studiamo, che parliano e che ci serve per vivere per scrivere e per leggere. Senza l‟italiano saremmo analfabeti e ignoranti. Quindi è giusto studiarla e parlarla il siciliano è il nostro dialetto che si deve anche parlare perché conserva le nostre tradizioni, la nostra storia. Perché il Siciliano è importante perché è la lingua dei nostri antenati siciliani, quindi è giusto parlare il siciliano perché è bello conoscere la nostra provenienza e la nostra storia.
12 anni – Via Perez – maschio
Secondo me, la differenza tra italiano e siciliano è che il siciliano per noi è più facile da parlare però ci fa sembrare rozzi invece l‟italiano ci fa sembrare educati. Il siciliano non si dovrebbe parlare però se qualche parola scappa ogni tanto, non fa mare, infondo è sempre il nostro dialetto che appartiene alla nostra tradizioni siciliano.
Secondo me, la differenza tra italiano e siciliano è che il siciliano per noi è più facile da parlare però ci fa sembrare rozzi invece l‟italiano ci fa sembrare educati. Il siciliano non si dovrebbe parlare però se qualche parola scappa ogni tanto, non fa mare, infondo è sempre il nostro dialetto che appartiene alla nostra tradizioni siciliano.
12 anni – Terrasini c/da Gazzara – femmina
Secondo me tra l‟italiano e il siciliano c‟è una bella differenza. Il siciliano è una bella lingua perché è la nostra storia e la nostra origine. Se noi, i nostri genitori, i nostri nonni non tramandassimo questa lingua, molti documenti, molte poesie e molti pensieri scritti in questa lingua non si saprebbero leggere e una parte della nostra storia andrebbe perduta. Secondo me parlare in siciliano ci aiuta ad avvicinarci alla nostra terra e alle persone che sanno parlare questa lingua. Però è bene saper parlare anche un italiano corretto, perché se in futuro possiamo incontrare persone molto note e se non sappiamo parlarlo ci facciamo una brutta figura. Ogni regione ha il suo dialetto e ogni dialetto ha una sua origine e una sua storia.
Secondo me tra l‟italiano e il siciliano c‟è una bella differenza. Il siciliano è una bella lingua perché è la nostra storia e la nostra origine. Se noi, i nostri genitori, i nostri nonni non tramandassimo questa lingua, molti documenti, molte poesie e molti pensieri scritti in questa lingua non si saprebbero leggere e una parte della nostra storia andrebbe perduta. Secondo me parlare in siciliano ci aiuta ad avvicinarci alla nostra terra e alle persone che sanno parlare questa lingua. Però è bene saper parlare anche un italiano corretto, perché se in futuro possiamo incontrare persone molto note e se non sappiamo parlarlo ci facciamo una brutta figura. Ogni regione ha il suo dialetto e ogni dialetto ha una sua origine e una sua storia.
12 anni – via ungheria –
femmina
Per me il siciliano e meglio del italiano. Solo che siccome la nostra
lingua pratia e l‟italiano lo dobbiamo parlare.
12 anni – V.Adige [via Adige]–
maschio
Be secondo me il siciliano e la nostra lingua madre. L‟italiano le
anche la nostra lingua pero io sono sempre Secondo e meglio il siciliano perche
come viene …………(meglio a parlalla?) e anche perche io a casa fuori tranne
qualche volta a scuola parlo il siciliano i l‟italiano la …. (non po‟ ?) scrivere
e per parlare con le persone magari più come posso dire fine va sono tutto
sommato posso dire che io preferisco il siciliano a posto dell‟italiano e
più bello comunico meglio e tutto ………… (in salute?)
11 anni – Via Calarossa –
femmina
Secondo me la differenza tra italiano e siciliano è che con l‟italiano noi
ci possiamo esprimere facendoci capire correttamente in tutta Italia. Mentre
con il siciliano molte persone del nord credono che noi siamo rozzi e ignoranti,
ma non solo a noi, in Italia ci sono diversi dialetti molte volte noi del sud
critichiamo quelli del nord e viceversa. Ma secondo me, si dovrebbe parlare
solo Italiano, pur sempre rispettando le culture e le tradizioni, ma visto che
l‟Italia è una
Repubblica Democratica dovremmo parlare tutti Italiano
12 anni – terrasini (Pa) vicolo
Oreto – femmina
Secondo me l‟Italiano è
una persona più educata, che parla correttamente; l‟Italiano non
parla come il Siciliano. Il Siciliano storpia le parole, prolunga le vocali,
grida sempre, e a volte quando parla il suo dialetto ci sono parole che non si
capiscono. Per ogni cosa è pronta a litigare con le persone e altra la voce,
mentre gli Italiani parlano educatamente e raggionano prima di trarre le
conclusioni.
12 anni – Terrasini, Via P.
Galati – femmina
Secondo me, la differenza tra l‟italiano e il siciliano è che il
siciliano è il dialetto della Sicilia, come, per esempio il calabrese è il
dialetto della Calabria. Però dobbiamo sottolineare che il siciliano non è la
lingua corretta con cui noi dovremmo parlare, è l‟italiano la
lingua corretta con cui dovremmo parlare, perché l‟italiano è la
lingua ufficiale dell‟Italia e siccome noi facciamo parte dell‟Italia,
dovremmo parlare l‟italiano. In conclusione la differenza tra il
siciliano e l‟italiano è lo
storpiamento della lingua italiana.
12 anni – Via Renato Guttuso –
maschio
Secondo me la differenza tra l‟Italiano e il Siciliano è che l‟italiano è
una lingua comune che si parla in tutta Italia, invece il Siciliano è un
dialetto che si parla solo in Sicilia. Anche perché l‟italiano è
una lingua che per comunicare è più educata e il siciliano è una lingua più
rozza.
12 anni – Via Carlo Alberto
dalla Chiesa – maschio
Per me la differenza è che l‟italiano e una lingua che si deve
parlare correttamente e sicrivere correttamente ed è una lingua evoluta dal
latino. Il siciliano si parla non proprio correttamente ma è la lingua di non
un stato ma di una regione che l‟hanno inventata i paesani, per me questa lingua il
siciliano e la più bella che hanno inventato perché da una espressione di
parlare a chiunque come vuole e non discende da niente e un‟altra cosa
che alcune parole in siciliano vengono parlare pure in italiano.
12 anni – via G. Marconi –
femmina
La differenza tra italiano e siciliano
per me, l‟italiano è
una lingua più sistemata e anche molto facile da pronunciare. L‟italiano è
una lingua che viene usata a scuola, quando stiamo parlando con persone
piuttosto importanti ed anche quando parliamo con persone che non conosciamo
bene. Per me il siciliano è una lingua un po volgare, devo dire la verità, io
con persone che conosco bene parlo sempre siciliano. Per me la lingua piu bella
è il siciliano. Non riesco a spiegare il perché, ma so che mi piace, forse
perché è la lingua del mio paese.
12 anni – V. G. Ventimiglia –
maschio
Per me la differenza tra l‟italiano e il siciliano è la lingua che
cambia e anche il dialetto. L‟italiano è una lingua che si deve parlare
correttamente e giusta
12 anni – Via Domenico Morello
– maschio
Secono me la differenza tra italiano e siciliano e che secondo me il
siciliano e migliore del italiano perché io abbito in sicilia ma certe volte mi
domando se l‟italia e
meglio della sicilia poi a me piace molto parlare in dialetto siciliano. poi io
penso che il dialetto siciliano si capisce meglio del napoletano ed si capisce
di più
12 anni – Via la grua talamanca
– femmina
Secondo me c‟è una bella differenza tra l‟italiano e il
siciliano perché? Mbè facile perché per noi siciliani viene facile parlare il
dialetto chè l‟italiano per noi viene complicato parlare l‟italiano
semplicemente perché non ci siamo abituati infatti per questo a scuola ci
insegnano l‟italiano ma
avvolte senza che noi c‟è ne accorgiamo parliamo il dialetto per esempio come
me a casa parlo sempre il dialetto che dire? Per me il dialetto siciliano e più
facile del Italiano
12 anni – terrasini via
nazionale – femmina
Secondo me la differenza e: con l‟italiano si parla correttamente, invece
il siciliano e in dialetto che non si dovrebbe parlare. L‟italiano per
me e una lingua che mi permette di conversare con amici, genitori, zii, nonni
ecc… invece con il siciliano pure ci permette di conversare ma in modo diverso
e una lingua sporca. Invece l‟italiano e una lingua pulita perché quando a volte ci
litighiamo non diciamo brutte parole, l‟italiano ci fa riflettere, invece il
siciliano non ci fa riflettere diciamo quelle brutte parole.
12 anni – Via Cappella
Signiuruzzo – femmina
Secondo me l‟italiano è una lingua uguale per tutti in tutta
italia, usata per scrivere correttamente e capita da tutti. Il siciliano invece
secondo me è la lingua che ci permette di renderci diversi da quelli di altre
regioni.
12
anni – Contrada Pianotorre [Piano Torre]– maschio
Per me fra Italiano e siciliano c‟è una grande differenza, una linea di
separazione che però ……….. e nuove parole che permette come tutti gli altri
dialetti di capirsi tra popoli. Secondo me l‟italiano una lingua derivante da latino,
greco e altre lingue e una lingua semplice ma piena di parole che viene usata
più o meno in tutta Italia. L‟Italiano dopo essere stato diffuso in tutta Italia
grazie a viaggi e commerci si è diffuso in tutta Europa. Il siciliano invece è
una lingua più aperta ai siciliani che cambia anche regole fondamentali per l‟italiano come
per esempio trasforma il maschile in femminile in alcuni casi e soprattutto che
da più possibilità, anche però offensive che ha creato nel corso degli anni
vari termini. Io però personalmente parlo sempre siciliano, perché per me è la
lingua della mia Patria e sono fiero di parlarla. Ciao chiunque tu sia è
ricorda che bisogna onorare sempre la propria Patria!!
12 anni – Via Giuseppe Fava –
femmina
Secondo me la differenza tra italiano e siciliano è che l‟italiano è
una lingua più semplice, più usata e compresa in qualunque regione italiana.
Quindi è molto importante conoscerla correttamente soprattutto dal punto di
vista grammaticale. Invece il siciliano, a differenza dell‟italiano, è
una lingua conosciuta soltanto dalla regione Sicilia; esso è “difficile” da
comprendere per coloro che non sono siciliani. Infatti coloro che conoscono
soltanto questa lingua si possono ritenere “ignoranti” in quanto non sono
capaci di comunicare con gli altri. Comunque è un bene che ancora venga
utilizzato in modo da poter tramandare e in modo da poter fare conoscere questa
lingua ai nostri successori.
11 anni – terrasini (PA) via
Partinico – femmina
Secondo me la differenza tra italiano e siciliano e che il siciliano e
la lingua più usata dai nostri bisnonni ecc… E l‟italiano invece e più usato dalle
persone di città o dai giovani. Possiamo anche dire che alcune parole in
italiano derivano dal dialetto siciliano ovviamente cambiando il tono di voce.
Secondo me è più bello il siciliano perché e meno complesso mentre l‟italiano e più
complesso con verbi pronomi ecc..
3°
13 anni – terrasini (via
bellini) – femmina
La lingua “italiana” è la madre lingua, mentre il siciliano è un
dialetto usato dagli antichi ma portato fino ad ora, quindi nel 2012 ed spesso
si usa tra i familiari
13 anni – cda Paternella –
femmina
Secondo me la differenza tra l‟italiano e il siciliano è che l‟italiano è più
fine, completo e appropriato mentre il siciliano è più rozzo e più volgare
15 anni – via vitoria emanuele
orlando [Vittorio Emanuele Orlando] – femmina
La differenza è che sono uguale ma diversa tipo alcuni sono uguale e
altri diversi
13 anni – terrasini – femmina
L‟italiano è un
modo di comunicare più fine, e appropriato il siciliano è un modo di parlare più
rozzo e confidenziale
13 anni – Cinisi\ Via Nazionale
– femmina
La differenza tra italiano e siciliano e che in italiano si usano forme
verbali molto più corretto, il siciliano e che lingua più rozza
16 anni – Terrasini (PA) La
Grua Talamanca – maschio
Secondo me c‟è un‟enorme differenza tra italiano e siciliano perché si
la sicilia fa parte dell‟italia ma io siciliano preferisco maggiormente parlare
la lingua madre del mio paese o della mia regione.
15
anni – Terrasini via Ruffino – maschio
Per me la differenza tra l‟italiano e il siciliano e che il
siciliano e più forte ed e pure volgare per me mentre l‟italiano e un
linguaggio più coretto.
13 anni – Via Padre G. Cataldo
- ?
Secondo me la differenza fra l‟Italiano e il Siciliano è che con l‟Italiano puoi
dialogare con tutti con il siciliano solamente con gli abitanti della Sicilia
13 anni – Cinisi – femmina
Secondo me la differenza tra italiano e siciliano e che l‟italiano si
parla in tutta italia ed e la lingua nazionale invece il sicilia e una lingua
regionale e si parla solo in sicilia
12 anni – Terrasini (via
Gaetano Ventimiglia) – maschio
Il siciliano e una lingua della sicilia invece l‟Italiano è
una lingua più moderna del siciliano. l‟Italiano è una lingua parlata in tutta l‟Italia invece
e il siciliano e parlato solo da noi cioè in sicilia
13 anni – Terrasini (Via
Gorizia) – maschio
L‟Italiano è
una lingua più moderna del siciliano. Il siciliano è parlato solo qui. L‟italiano è
una lingua nazionale, il siciliano è una lingua regionale.
13 anni – Terrasini via Papa
Giovanni Paolo II – femmina
Il Siciliano è un dialetto quindi è molto più rozzo mentre l‟italiano e più
fine
12 anni – terrasini – femmina
L‟italiano è più fine e raffinato invece
il siciliano è rozzo e antico
13 anni – Terrasini, via
lungomare Peppino Impastato – maschio
L‟italiano è
più comprensibile e per capire il siciliano e per parlarlo ci vuole un vero
siciliano.
13 anni – Terrasini – maschio
L‟italiano è la
lingua parlata in tutta Italia con i vari dialetti, il siciliano è una lingua
un po rozza che si parla in Sicilia
13 anni – Terrasini (Pa) Via
Giacomo Matteotti – maschio
Secondo me, la differenza tra italiano e siciliano è: che l‟italiano e
una lingua nazionale molto perfetta e bella da parlare, invece il siciliano
(pur essendo la lingua madre della Sicilia) e vecchia, rozza che a me non
sinceralmente non piace
12 anni – Terrasini (via
Archimede 132) – maschio
L‟italiano e
una lingua ufficiale mentre il siciliano e una lingua usata margiormente in
sicilia (terrasini)
12 anni – terrasini “via
Archimede” – femmina
L‟italiano per me è una lingua più
corretta ma ormai è parlato da pochi, inoltre l‟italiano è la madre lingua, il siciliano
è parlato molto dai nostri nonni, in teoria il siciliano è un dialetto.
SCUOLA SUPERIORE DI SECONDO GRADO
(Istituto Provinciale di Culture e lingue Ninni
Cassarà)
Età
– indirizzo – sesso
1°
14
anni – Via Alcide De Gasperi – femmina
La differenza tra italiano è che viene più parlato e
anche il siciliano ma il siciliano è una lingua volgare.
14
anni – via lungo mare [lungomare]- femmina
La differenza tra italiano e siciliano è che l‟italiano è
una lingua più parlata e piu formale, mentre il siciliano è una lingua meno
parlata e un po‟ rozza.
14
anni – Via Gaetano Ventimiglia – maschio
La differenza tra italiano e siciliano e che l‟italiano è
parlato in tutta Italia e quindi è una lingua conosciuta invece il siciliano è
un dialetto parlato in Sicilia.
14
anni – Via B.G Mayale – femmina
Secondo me la differenza tra italiano e siciliano è
che l‟Italiano è
una lingua il siciliano un dialetto
14
anni – Via G.Boccaccio – femmina
Secondo me la differenza tra italiano e siciliano è
quella che l‟italiano è
una lingua che si deve parlare, ad esempio,a scuola al lavoro o per compilare
documenti mentre il siciliano è una dialetto da parlare in famiglia o con i
conoscenti.
17 anni - ? – femmina
Secondo me la differenza è che il siciliano è
rozzo,mentre l‟italiano anche nel parlare è più fino e ha un suono
più dolce. Nonostante parlo anche io il siciliano sono dell‟ idea che
dovrebbe evitare anche se per cert’unni è difficile.
14
anni - ? – femmina
Secondo me la differenza tra il siciliano e l‟italiano è
che l‟italiano è un
modo di parlare molto fine,mentre il siciliano è un modo di
parlare rozzo e volgare.
14
anni – Via Giacomo Matteotti – femmina
Il siciliano è il dialetto della Sicilia l‟italiano è la
madre lingua.
15
anni - ? – femmina
La differenza fra l‟italiano e il siciliano e che l‟italiano e
più fino più parlato mentre il siciliano e più antico e meno parlato
14
anni – Via Archimede – femmina
L‟Italiano è una lingua parlata in tutta Italia mentre
il Siciliano è parlato solamente in Sicilia
14
anni - ? – femmina
L‟Italiano è una lingua parlata in tutta Italia,il
dialetto è parlato dal popolo di ogni regione ed è diverso. Ad esempio il
dialetto siciliano è diverso da quello di un‟altra regione Italiana
14
anni – S.Caterina da siena – maschio
La differenza è che il siciliano è il dialetto della
sicilia mentre l‟italiano è la lingua nazionale
14 anni – Via libertà – maschio
La differenza è che il siciliano si parla solo in
sicilia,mentre l‟italiano in tutta l‟italia
14
anni – Via caserta – femmina
Il siciliano si parla in Sicilia e invece l‟italiano si
parla in Italia
14
anni – Don Luigi Sturzo – femmina
Il Siciliano si parla solo in sicilia invece l‟italiano in
tutta Italia.
14
anni – San Agostino – femmina
Che l‟italiano è la madre lingua parlata da tutti e il
siciliano viene parlato solo in sicilia.
14
anni – via gabbiano – maschio
L‟italiano è una lingua parlata in tutta italia, mentre
il dialetto è specifico in ogni regione.
2°
15
anni – Via Gagini antonio – maschio
L‟italiano serve per conversare con le persone e il
siciliano non serve a niente serve solo a essere villani.
15
anni - ? – femmina
L‟italiano è la lingua ufficiale del nostro Paese mentre
il siciliano è un dialetto della nostra isola SICILIA, ma che a sua volta può
cambiare da paese in paese a seconda degli usi e delle tradizioni
15 anni – C/DA RAMO – femmina
L‟Italiano è la lingua principale della nostra Nazione;
il Siciliano è un dialetto è una lingua che da anni si utilizza in un solo
paese, che a sua volta può variare da posizione in posizione
14
anni – Piazza Duomo – femmina
Per me l‟italiano e la lingua che usiamo per capirci meglio,
invece il siciliano è un dialetto che viene parlato dalle persone anziane
15
anni – via s.Rosalia – femmina
Secondo me la differenza tra italiano e siciliano è
che prima di tutto il siciliano è un dialetto e poi non è un dialetto molto
corretto. L‟italiano
credo sia più formale e più corretto invece
15
anni – Via Calarossa – femmina
L‟italiano è la lingua officiale dell‟Italia che
deve comunque essere parlato da tutti mentre il siciliano è un dialetto
“ufficiale” appunto della Sicilia, che comunque fa parte delle tradizioni di
essa. Penso che se si sceglie di parlarlo lo si debba far solo in ambito
strettamente familiare
2
Vuoto
15
anni - Via nazionale - ?
Secondo me la differenza tra l‟italiano e il
siciliano è che l‟italiano e più facile da parlare invece il siciliano e
più difficile
15
anni - ? – femmina
L‟italiano è lingua parlata da diversi e
molti paesi. Il siciliano è una lingua parlata in sicilia, il dialetto con cui
si identifica il nostro territorio.
16 anni – terrasini, zona
periferica – femmina
Penso che la differenza tra l‟italiano e il siciliano sia basata sul
fatto che il siciliano è un dialetto che comunque cambia da paese in paese e
viene compreso di più in Sicilia. Mentre l‟italiano è la lingua ufficiale italiana.
Penso che ognuno di noi dovesse conoscere il siciliano anche generalmente per
avere una certa cultura sul proprio paese d‟origine, però non bisogna nemmeno
parlare solo ed unicamente in siciliano, perché col passare del tempo potremmo
avere dei problemi con la comunicazione interculturale
16 anni – Piazza Giacomo Saputo
– femmina
Secondo me la differenza tra le due lingue è enorme. Il siciliano ha
dei propri detti e non tutti lo parlano allo stesso modo. Ogni paese ha la
propria cadenza e delle tradizioni differenti, mentre in italiano anche se non
tutti lo parlano è complesso ma allo stesso tempo facile da capire soprattutto
per chi è italiano.
3°
16 anni – Via Ruggero Settimo –
femmina
Secondo me la differenza tra italiano e siciliano è che l‟italiano è la
lingua nazionale dell‟Italia, ed è parlata in tutta italia, ed è una lingua
più raffinata e più fine, mentre il siciliano è un dialetto che appunto viene
parlato in sicilia ed è meno raffinato, e più rozzo, ma deve essere pur sempre
parlato perché è il dialetto del nostro paese;
16 anni – terrasini via agli
androni [contrada agli Androni]– femmina
È sicuramente diverso l‟Italiano dal siciliano. ci sono parole totalmente
diverse e pronunce totalmente diverse l‟Italiano oltre che più corretto col
suono è più pulito mentre il siciliano è rozzo e volgare anche se avvolte è
molto utile per fortificare i concetti ed esprimere determinati argomenti.
18
anni - ? – femmina
Secondo me la differenza è netta perché l‟italiano è un
linguaggio più raffinato, mentre il siciliano essendo un dialetto è volgare e
rozzo. Poi la differenza è che l‟italiano è per tutto il paese e il siciliano varia da
paese a paese.
15 anni – Via G. Ventimiglia –
femmina
L‟Italiano è
una lingua mentre il siciliano è un dialetto. Le parole siciliane hanno un suono
più duro mentre in italiano il suono è più dolce
15 anni – via dell‟Ulivo – femmina
La differenza fra italiano e siciliano è che l‟italiano
viene studiato a scuola ed è parlato in tutta l‟ Italia da tutti gli abitanti, mentre il
siciliano è parlato solamente dagli abitanti della Sicilia soprattutto dai più
anziani e non viene studiato nelle scuole
16 anni – via nazionale –
femmina
L‟Italiano è la
lingua ufficiale parlata nella nostra penisola. Il siciliano è un dialetto
molto bello se saputo parlare.
17 anni – terrasini, via ralli
– femmina
Il Siciliano è una lingua volgare, cioè popolare ma appartenente alla
sicilia. L‟italiano è la
lingua nazionale
16 anni – Villagrazia di Carini
– femmina
Secondo me la differenza è che l‟italiano è una lingua non volgare
parlata da persone colte, mentre il siciliano è una lingua rozza e volgare
parlata da persone non colte.
16 anni – Via Agli Androni o Contrada Agli Androni –
femmina
Oggi il siciliano è un dialetto anche se anticamente
era considerato come una lingua. L‟italiano secondo me è “il figlio” della
lingua siciliana. A scuola viene insegnato l‟italiano anche se alcune prof. si
lasciano sfuggire qualche “perla” in siciliano! Il siciliano rimane solo ai più
anziani perché le nuove generazioni non fanno altro che imitarli. Secondo me il
siciliano dovrebbe rimanere una tradizione. L‟Italiano è la lingua ufficiale.
16
anni – via Giacomo Matteotti – femmina
Secondo me, la differenza tra italiano e siciliano è
che l‟italiano è la
lingua dell‟intera nazione
e quindi è più raffinato, il siciliano è il dialetto di una regione ed è poco
elegante.
17
anni – Contrada Bagliuso Terrasini – femmina
Il siciliano non è altro che un dialetto l‟Italiano è la
lingua ufficiale parlata in Italia. Oggi il siciliano è fonte di riconoscimento
la sicilia viene riconosciuta grazie a questa lingua. L‟italiano è
più fine
16
anni – carini – femmina
Il siciliano è una lingua volgare, usata più dai
vecchi invece l‟italiano è la lingua usata più comunemente
16
anni - ? – femmina
Il siciliano a differenza dell‟italiano è un
dialetto esclusivamente della Sicilia. Il siciliano è una lingua alternativa.
16
anni – Cinisi via venuti – femmina
Il siciliano a differenza dell‟italiano ha i resti delle lingue dei
popoli che hanno invaso la sicilia nell‟antichità come francese, Arabo,
Spagnolo, latino, ecc. l‟Italiano invece ha perso molte delle pronuncie e
parole di un tempo.
16 anni - ? – femmina
L‟italiano
oggi, è una lingua più colta rispetto al siciliano che oggi è considerato rozzo
16 anni – Bernardo Mattarella –
femmina
Secondo me non c‟è tanta
differenza perché l‟italiano dipende dalla zona, anche lui ha un dialetto,
lo stesso per il siciliano. Anche se il siciliano è più rozzo.
4°
17 anni – Padre Cataldo –
femmina
L‟italiano è
una lingua Siciliano è un dialetto,conosciuto da poco che varia da paesino a
paesino
17 anni – Via Dante – femmina
Il siciliano è il dialetto, l‟italiano è la lingua ufficiale che tutti
dovrebbero saper parlare correttamente perche è quello che ci permette di poter
comunicare con tutti gli altri abitanti dell‟italia,al di fuori della sicilia.
? - ? – femmina
L‟italiano è
una lingua ufficiale parlata in tutta Italia e comune a tutti i cittadini
invece il siciliano è un dialetto parlato solamente in Sicilia.
16
anni – Via Cristoforo Colombo – maschio
Non lo so.
16 anni – Via Mulinazzo -
femmina
L‟italiano è la
lingua ufficiale che si parla in Italia,il siciliano è un dialetto parlato solo
in sicilia.
17 anni - ? – femmina
Secondo me la differenza tra italiano e siciliano è che l‟italiano è la
lingua ufficiale mentre il siciliano è il dialetto parlato in sicilia.
17 anni – Via Partinico –
femmina
La lingua italiana è la lingua ufficiale dell‟Italia,
mentre la lingua siciliana è la lingua parlata nel proprio paese,e viene usato
di solito per spiegare concetti in modo accelerato e sono più incomprensibili
per chi vive nel paese d‟origine.
20 anni - ? – femmina
Il siciliano è un dialetto mentre l‟italiano è parlato in tutte le regioni
mentre il siciliano è parlato solo in sicilia.
18 anni – Via Giovanni Meli –
femmina
L‟italiano è
una lingua che si può apprendere a scuola mentre il siciliano è un dialetto,ad
esempio non puoi metterti a parlare in siciliano con un milanese, perche non
capirebbe,il siciliano poi non è tutto lo stesso, dipende le zone cambia.
comunque sia è meglio parlare italiano, il siciliano è meglio usarlo quando si
“babbia”.
17 anni – via Perez – femmina
L‟italiano è la lingua usata in Italia da tutti mentre
per ogni regione c‟e‟ un dialetto diverso ma anche per ogni paese
17
anni – via nazionale – femmina
La differenza tra italiano e siciliano hanno origini
simili il dialetto siciliano cambia da regione in regione. Alcune parole del
dialetto siciliano hanno una diversa radice. La lingua italiana non varia da
regione in regione.
17
anni – via vecchia di borgetto – femmina
L‟italiano è la lingua nazionale della repubblica
italiana mentre il siciliano è il dialetto della regione “sicilia”.Ovviamente non
è compreso in tutte le regioni italiane dipende dalle circostanze può diventare
volgare e rozzo. Credo che il siciliano sia importante perché rappresenta il
popolo siciliano.
16
anni – via roma – femmina
L‟italiano è la lingua creata(ufficialmente) da DANTE
intorno al 300; è conosciuta ,parlata e compresa da tutta la nazione italiana.
Il siciliano è un dioma che viene parlato e compreso solo in sicilia e presenta
varie modificazioni in vari luoghi della regione.
16 anni
– CARINI – femmina
Secondo me l‟italiano è una lingua più consona,il
siciliano è una lingua comunque importante per il nostro territorio ma la
lingua ufficiale ossia l‟italiano è più colta e ci consente di comunicare con
persone di altre regioni. Inoltre le due lingue possono essere utilizzate in
circostanze diverse, il siciliano in famiglia tra amici, l‟italiano a
scuola, a lavoro ecc. Io preferisco utilizzare l‟italiano anche perché non ho una buona
conoscenza della lingua siciliana ed è più adatta per diverse circostanze.
Inoltre poiché studiamo lingue straniere nel nostro paese dobbiamo conoscere e
sapere parlare per prima cosa la nostra lingua.
17 anni – Via Crispi – maschio
L‟italiano è una lingua nazionale,il siciliano è il
dialetto parlato solo in sicilia ci sono delle differenze morfologiche e
sintattiche tra le due lingue.
16
anni – Corso Garibaldi – maschio
La differenza secondo me è che il siciliano è il
dialetto tipico della regione sicilia,mentre l‟italiano è la lingua ufficiale dell‟italia anche
se ogni regione ha il proprio dialetto tipico che varia di città in città.
16
anni – via Federico II – femmina
L‟italiano e il siciliano hanno origini simili. Alcune
parole del dialetto siciliano hanno una diversa radice e desinenza. La lingua
italiana non varia da regione in regione. Varia solo l‟accento. Nel
caso del dialetto siciliano esso varia da città in città. Non credo che il
dialetto siciliano sia rozzo. Dipende dalla persona che lo parla. Ci sono
persone che parlano in modo rozzo l‟italiano e persone che invece lo parlano
bene.
17
anni – Via Ralli – maschio
La differenza tra italiano e siciliano e che l‟italiano è
una lingua colta ed elegante mentre il siciliano rozza e volgare.
17
anni – Contrada piano cavoli – femmina
Penso che l‟italiano sia
una lingua più comune a tutti gli italiani poiché il dialetto si differenzia
non solo rispetto alle regioni ma anche rispetto alla provincia e località dove
si risiede. Nonostante ci siano diverse parole del siciliano che si avvicinano
all‟italiano,credo
che sia più opportuno parlare la lingua italiana per comunicare con tutti i
ragazzi di altre regioni altrimenti in siciliano non sarebbe facile la
comprensione. Preferisco parlare in italiano a scuola,a lavoro o con i miei
amici e col mio ragazzo perche non ritengo di avere una buona conoscenza del
siciliano.
5°
18
anni – Rosa Luxemburg – femmina
L‟Italiano è una lingua a livello nazionale che può far
comunicare tutte le persone per esempio: persone del nord e del sud. Il
Siciliano è una lingua regionale. È considerata un dialetto.
? -
? - ?
L‟italiano è la lingua ufficiale della nazione il
siciliano è la lingua e il dialetto regionale
?? -
?
L‟italiano è la lingua ufficiale della Nazione italiana,
invece, il siciliano è il dialetto regionale (della Sicilia)
19
anni – Cinisi – femmina
L‟italiano è una lingua più fine e più comprensibile,
mentre il siciliano è il dialetto tipico della sicilia e a volte risulta un po‟ grezzo.
3 Vuoto
18
anni - ? – femmina
L‟italiano è una lingua nazionale, mentre il siciliano è
un dialetto
? -
? - ?
L‟Italiano è una lingua nazionale, mentre
il Sicilio
18 anni - ? - femmina
L‟Italiano è la lingua ufficiale della nazione siciliano è una lingua regionale, che si parla solo in sicilia.
L‟Italiano è la lingua ufficiale della nazione siciliano è una lingua regionale, che si parla solo in sicilia.
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